Capua, Da Diana a San Michele Arcangelo
Viaggio nell'abbazia di Sant’Angelo in Formis a Capua. L’intero complesso era nato nel VI secolo dalla devozione di tutta longobarda nei confronti di San Michele Arcangelo. A sua volta il primitivo edificio era sorto sull’area di un tempio dedicato a Diana.
Ego sum alfa et O(mega), primus et novissimus. La solenne iscrizione compare sulla pagina del libro che il Cristo in Gloria, tra i simboli degli Evangelisti, regge sulle ginocchia, seduto in trono in posa ieratica nel catino absidale dell’abbazia di Sant’Angelo in Formis a Capua. Sopra il Suo capo vola la colomba dello Spirito Santo; al di sotto tre arcangeli sono affiancati dall’abate Desiderio offerente il modellino della chiesa. Il monaco è dotato di un nimbo quadrato che lo qualifica come vivente nel momento della realizzazione degli affreschi: la sua figura e un’iscrizione sull’architrave del portale lo identificano, dunque, come fondatore dell’abbazia che egli ricostruì dalle fondamenta tra il 1072 e il 1087. L’intero complesso era nato, infatti, nel VI secolo dalla devozione di tutta longobarda nei confronti di San Michele Arcangelo. A sua volta il primitivo edificio era sorto sull’area di un tempio dedicato a Diana, alla quale, in quanto dea della caccia, era dedicato il bosco del monte Tifata, nei pressi di Caserta, lungo il cui fianco occidentale sorse la basilica.
Quattro colonne, di forma e materiali diversi, sormontate da capitelli corinzi, compongono le cinque arcate del portico. Quella centrale, decisamente più alta delle altre, inquadra il portale di marmo dalla duplice lunetta, con le immagini della Vergine orante riccamente vestita e dell’arcangelo Michele a mezzo busto. Sullo sfondo delle arcate laterali si leggono sulle pareti quattro scene della vita di Sant’Antonio Abate e San Paolo Primo Eremita.
Lo spazio interno, basilicale, è a tre navate senza transetto, confluenti ciascuna in un’abside semicircolare voltata a catino. Le separano due file di sette colonne su cui poggiano arcate a tutto sesto. Un’ara romana e un capitello medioevale rovesciato fungono da acquasantiere mentre un sarcofago, anch’esso romano,è utilizzato come altare maggiore.
Un ciclo unitario di affreschi, preziosa testimonianza della cultura pittorica campana della fine dell’XI secolo, interessa tutte le pareti, ispirandosi alle pitture paleocristiane delle basiliche apostoliche romane. Il Giudizio Universale della controfacciata, che si raffronta con la Maiestas del catino absidale, è la conclusione ideale di tutti gli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento che si dipanano, rispettivamente, sulle mura delle navate laterali e lungo la navata centrale dove sono disposti su tre registri. Al di sotto, tra gli archi, i Profeti e una Sibilla, con i propri cartigli, preannunciano la venuta di Cristo.
Per la coerenza dell’intero programma decorativo con la rinascita dottrinale, religiosa e culturale diffusa da Montecassino e promossa da Gregorio VII, gli storici dell’arte sono concordi nell’individuare in Desiderio il suo ideatore. Diverse furono, invece, le maestranze che collaborarono nella realizzazione, probabilmente locali ma comunque profonde conoscitrici della spiritualità bizantina.