Capire l'Ucraina senza facili schematismi
Tatari, russi, russofoni e ucraini, un mosaico di popoli difficile da ricomporre. E le due Chiese ortodosse e quella greco-cattolica condannano la violenza dell'ex presidente Yanukovich. Non si può ricondurre a facili schematismi la crisi ucraina.
Crimea, il parlamento autonomo locale si voleva riunire, ieri pomeriggio, per discutere la crisi ucraina e votare, eventualmente, per la secessione. La Crimea, sede della Flotta del Mar Nero russa, è letteralmente un angolo di Russia incastonato nell’Ucraina, unito al resto del Paese dalla volontà di Chrushev, oltre che (sul piano geografico) solo da un piccolo istmo. Nel momento in cui a Kiev è stato rovesciato il presidente Yanukovych, che aveva un filo diretto con Mosca, la Crimea si è sentita nuovamente un corpo estraneo. Ed è così spiegabile la sua tendenza a volersi staccare, per riunificarsi alla Russia in un prossimo futuro.
La seduta parlamentare in Crimea non era ancora iniziata che un piccolo esercito di 7mila tatari (secondo alcune fonti sarebbero stati più di 30mila), disarmati ma determinati, ha riempito le piazze di Sinferopoli, la capitale regionale, e ha indotto il parlamento a desistere per ragioni di sicurezza. I tatari non hanno alcuna intenzione di tornare a far parte della Russia. Sono i discendenti diretti di quel Khanato di Crimea, residuo del Khanato dell’Orda D’Oro (a sua volta residuo dell’impero mongolico di Genghis Khan), annesso alla Russia nel 1783 e completamente russificato nei due secoli successivi. Non vogliono entrare di nuovo a far parte della Russia, non per odio a Caterina la Grande, che li annesse, ma per paura di un nuovo Stalin. Perché fu il dittatore sovietico che deportò in massa i tatari, così come fece con i baltici, con i ceceni e con tanti altri popoli ritenuti collettivamente nemici della rivoluzione.
L’episodio della Crimea, dove una minoranza di una minoranza si ribella alla minoranza, che a sua volta si ribella alla maggioranza, è un chiaro segno della complessità della crisi ucraina, un mosaico di popolo pronto a scoppiare in mille pezzi, come tante altre nazioni costruite a tavolino dall’“esperto di nazionalità” Josif Stalin e dei suoi successori sovietici.
Ma invece di astenersi dall’esprimere giudizi troppo trancianti, l’opinione pubblica italiana si sta dividendo sull’Ucraina con la stessa veemenza e faziosità di una curva di ultras e il Web si riempie di insulti, recriminazioni e persino minacce. La protesta dei tatari, musulmani, è stata commentata come la “prova” che è in corso una guerra fra “islamisti” e “cristiani”. Dimenticando, però, che gli “islamisti” sono alleati con gli ucraini occidentali. Che sono cristiani, cattolici e ortodossi. E l’ex presidente Viktor Yanukovych può essere visto come un baluardo della cristianità? Il sinodo della Chiesa Ortodossa-Patriarcato di Mosca, il 24 febbraio, condannava senza mezzi termini “le azioni criminali del governo che hanno provocato un bagno di sangue nelle strade e nelle piazze nella città dalle cupole d’oro di Kiev”. Il sinodo ha anche sottolineato l’importanza di “costruire un nuovo Paese sulla base dei principi di bontà e giustizia, integrità territoriale (dunque contro i secessionisti filo-russi, ndr) e consolidamento della società”. Mentre le autorità attuali, subentrate a Yanukovych devono “essere consapevoli della loro responsabilità di fronte a Dio, di fronte alla loro stessa coscienza e a quella delle passate, presenti e future generazioni”. Tre giorni prima, la Chiesa Ortodossa-Patriarcato di Kiev ha chiesto la scomunica del presidente Yanukovych. “Prendendo atto del fatto che i ripetuti appelli della Chiesa a non usare le armi contro il popolo non sono stati ascoltati dalle autorità dello Stato; - recita il comunicato del patriarca Filarete - si è deciso di non pregare più per le autorità al potere durante le celebrazioni religiose”.
Secondo un’altra incredibile semplificazione, Yanukovych, essendo alleato di Putin (il presidente russo che combatte aborto e movimento omosessualista), sarebbe il baluardo della cristianità e dei valori tradizionali contro la deriva laicista europea. Il Maidan, il fronte della rivolta di piazza, è filo europeo, è osannato nei siti di George Soros, dunque è diventato il “male”. Ma il 25 febbraio, monsignor Svjatoslav Shevchuk, Arcivescovo Maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina di Kiev, dava ai giornalisti, in conferenza stampa a Roma, ben altra spiegazione del filo-europeismo del Maidan. «Vorrei dire anzitutto che la questione centrale di tutta questa discussione vissuta in Ucraina nell’ultimo decennio è quella sulla identità europea del popolo ucraino. Praticamente, dopo la visita di Giovanni Paolo II in Ucraina, nel 2001, tutti i presidenti, i governi, hanno dichiarato che l’avvicinamento, o la possibile associazione, o l’integrazione dell’Ucraina con la società dell’Unione europea, è un piano strategico dello sviluppo del nostro popolo. Non solo è un piano strategico, ma, al giorno d’oggi, vediamo che questa è anche una garanzia per una Ucraina indipendente, libera e democratica».
E, lungi dal validare tesi e teorie del complotto europeo, l’Arcivescovo spiega con queste parole la causa e l’origine della rivoluzione: «Anche il nostro ex-presidente Viktor Yanukovich che rappresentava la parte piuttosto russofona dell’Ucraina, conduceva la società ucraina in questa direzione (verso l’Ue, ndr). Era il promotore ultimo di questo movimento, ma una settimana prima della data annunciata, il 29 novembre, il governo ucraino ha dato la notizia che questa associazione non si sarebbe fatta. Yanukovich è andato a Vilnius, si è dimostrato non aperto e non ha firmato il testo concordato della associazione con l’Unione europea. E questo fatto ha provocato uno shock nella società ucraina. Per usare una immagine molto suggestiva, posso dire così: quando un treno con una grande velocità va verso una certa direzione e poi ad un certo momento, qualcuno preme il freno, tutti cadono per terra; proprio quello è successo il 29 e 30 novembre in Ucraina. Ma se anche il governo ha cambiato direzione, la società ucraina no».