Cannabis, l'invasione di campo di Cantone
Le sue dichiarazioni stanno facendo rumore. Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Anticorruzione entra a gamba tesa sulla cannabis.
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Le sue dichiarazioni stanno facendo molto rumore. Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, parlando a Radio Radicale, è intervenuto nel dibattito sulla legalizzazione della cannabis e lo ha fatto in modo perentorio: "Credo che una legalizzazione intelligente possa evitare il danno peggiore per i ragazzi, cioè entrare in contatto con ambienti della criminalità". Parole che hanno diviso la politica e che, al di là delle controindicazioni di tipo pedagogico ed educativo, rischiano di rinfocolare le polemiche tra i partiti alla vigilia della ripresa dell’attività parlamentare. E’ infatti prevista per settembre la discussione alla Camera sul disegno di legge che prevede proprio la legalizzazione della cannabis, al fine di combattere il traffico di droghe leggere saldamente nelle mani di organizzazioni malavitose.
Ma l’esternazione di Cantone non può essere immune da letture dietrologiche. Già nel maggio scorso quello che ormai viene trattato da media e opinione pubblica come un implacabile “sceriffo” anticorruzione era entrato a gamba tesa in una discussione su questioni che attengono alla produzione legislativa (l’uso delle intercettazioni e degli agenti infiltrati nella lotta alla corruzione e le norme sulla trasparenza di partiti e fondazioni), debordando in modo forse inopportuno rispetto alle prerogative dell’istituzione da lui presieduta. Un suo auspicio un po’ più sfumato sarebbe stato più che sufficiente per evidenziare una necessità percepita anche da ampi settori della magistratura e della politica.
Le dichiarazioni sulla legalizzazione della cannabis sembrano qualcosa di più perché finiscono inevitabilmente per tramutarsi in un’ingerenza nella normale e democratica dialettica parlamentare e per trasmettere una sensazione di impotenza della magistratura rispetto a un’emergenza come quella della lotta allo spaccio di droghe, anche leggere. E’ come se le toghe decidessero di alzare bandiera bianca e di arrendersi perché inadeguate a combattere quella battaglia. E allora perché a Cantone stava così tanto a cuore pronunciarsi ancora una volta su temi di stretta competenza parlamentare?
Non è che il presidente Anac inizia a prepararsi una strada politica? C’è chi insinua il sospetto che stia studiando da premier, tentando di accreditarsi quale “riserva della Repubblica” in caso di caos istituzionale. Se è vero, infatti, che le due emergenze del Paese rimangono l’economia e la battaglia per la legalità, i profili più spendibili per una palingenesi del nostro Paese sarebbero Mario Draghi e lo stesso Cantone. Il quale, finora, ha negato qualsiasi intenzione del genere (per un po’ si parlò di lui quale candidato del centrosinistra alla guida della Regione Campania, ipotesi seccamente smentita dal diretto interessato).
Opinioni come quelle espresse dal magistrato napoletano negli ultimi mesi potrebbero essere un suo modo per sondare il suo personale seguito presso l’opinione pubblica e il gradimento di quanto lui dichiara. Inoltre, potrebbero rispondere a una strategia di progressivo accreditamento verso un certo mondo laico che, su temi come quello delle droghe leggere, evidenzia una preoccupante trasversalità. Infatti, ampi settori del centrodestra e del centrosinistra sperimentano crescenti convergenze su alcuni punti e non è escluso che in Parlamento, a settembre, si saldi un asse tra Pd e Cinque Stelle sull’approvazione del disegno di legge in materia di legalizzazione delle droghe leggere, con la complicità di alcuni settori del centrodestra.
Cantone sa bene che il governo è profondamente diviso sull’argomento. Il Nuovo Centrodestra è pronto ad alzare le barricate su quel provvedimento affinchè non passi, e quindi l’esecutivo a guida Renzi potrebbe subire contraccolpi anche forti. "Incompetenza e irresponsabilità" vengono attribuite al presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione da Maurizio Gasparri (Forza Italia), che, al pari di altri esponenti dell’opposizione, punta il dito contro l’invasione di campo del magistrato sul terreno del confronto parlamentare. Un conto è che a manifestare tali pensieri sia uno scrittore come Roberto Saviano, ben altra cosa è che a parlare in quei termini sia un magistrato che presiede un’Autorità anticorruzione.
Senza contare che il procuratore capo della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, tra i più autorevoli magistrati antimafia, ha immediatamente replicato alle esternazioni di Cantone definendole inopportune: "Uno Stato democratico non può permettersi il lusso di legalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini. Il guadagno che si sottrarrebbe alle mafie è quasi ridicolo rispetto a quanto la criminalità trae dal traffico di cocaina ed eroina. In compenso spesso la marijuana è il primo passaggio per arrivare poi all’assunzione di droghe pesanti".
Una reazione altrettanto decisa, quella di Gratteri, che è forse la spia delle lotte intestine che avvelenano anche il mondo della magistratura. Non ci stupiremmo se presto o tardi Cantone intervenisse anche su altri temi sensibili come le unioni civili o sulla riforma costituzionale. Sarebbe la riprova che forse un pensierino all’impegno politico lo sta maturando. Più volte in passato, anche in occasione dello scoppio di scandali imprevisti, come quello degli appalti Expo, si fece ricorso a lui come “salvatore della patria”. Ma un Paese che ad ogni campanello d’allarme sul fronte della corruzione si aggrappa sempre e solo a una personalità come lui può definirsi un Paese sano e dalle grandi potenzialità? L’Autorità nazionale anticorruzione sta svolgendo un compito difficile e prezioso per il Paese, ma l’emergenza malaffare rimane aperta. E la sfida può vincerla solo il sistema Paese nel suo complesso. Non basta qualche “eroe”.