Cancellato l’abuso d’ufficio, le toghe contro il governo
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Fortemente voluta da Nordio l'abolizione di un reato trasformatosi in tagliola giudiziaria che paralizzava gli amministratori. La reazione dell'Anm non si fa attendere.
5418 procedimenti avviati, dai quali sono emerse solo 9 sentenze di condanna, 35 patteggiamenti, 72 assoluzioni, 28 archiviazioni per prescrizione, 148 decreti di archiviazione per prescrizione, 370 rinvii a giudizio e 4465 decisioni di immediata archiviazione. Basterebbero questi dati, fermi a qualche anno fa, per comprendere quanto sia giusto abolire il reato di abuso d’ufficio, di cui vengono accusati principalmente gli amministratori locali e che finisce per limitare le loro capacità decisionali a causa della cosiddetta paura della firma.
Un sindaco, ad esempio, pur di non rischiare grane giudiziarie, rinuncia a sottoscrivere atti che però sarebbero necessari per portare avanti opere pubbliche nell’interesse dei cittadini e così facendo rallenta l’azione amministrativa venendo meno anche ai suoi compiti istituzionali derivanti dall’investitura popolare ricevuta.
Il governo su questo non ha ceduto alle pressioni delle toghe e sta andando avanti per la sua strada della riforma della giustizia, uno dei cavalli di battaglia del centrodestra in campagna elettorale.
Due giorni fa infatti la Camera ha approvato con 170 voti a favore e 77 contrari l’articolo 1 del disegno di legge promosso dal ministro della Giustizia Carlo Nordio che di fatto abroga l’articolo 323 del codice penale, che disciplina il delitto di abuso d’ufficio. La Camera sta procedendo con il giudizio sugli articoli successivi mentre il voto finale su tutto il provvedimento è atteso per martedì.
Voluta fortemente dal ministro Nordio, la cancellazione dell’abuso d’ufficio è necessaria per rendere la pubblica amministrazione più efficiente, ridurre la burocrazia e dare fiducia agli amministratori, che potranno operare con maggiore serenità e senza più quella paura della firma che spesso immobilizza le amministrazioni locali.
Nell’art.323 del codice penale si definiva abuso d’ufficio il reato per cui un qualsiasi pubblico ufficiale, durante lo svolgimento dei suoi compiti, "abusa" del suo potere per ottenere un vantaggio personale, ad esempio un vantaggio economico, o per danneggiare ingiustamente un'altra persona.
La discrezionalità dei magistrati ha tuttavia trasformato questa fattispecie in una vera e propria tagliola per migliaia di amministratori locali che decidono di non decidere per non incappare in accuse del genere, visto che il confine tra la liceità di alcuni atti e la commissione di quel reato è molto labile.
Tuttavia le opposizioni hanno ravvisato una contraddizione nella linea governativa. In altre parole, nel decreto Carceri, approvato nei giorni scorsi in Consiglio dei ministri, l’abuso d’ufficio tornerebbe sotto altra forma. L’articolo 10, infatti, istituisce il reato di "indebita destinazione di denaro o di cose mobili”, un modo per salvare la punibilità del cosiddetto “peculato per distrazione”, cioè il reato del pubblico ufficiale che regala soldi pubblici agli amici. Il nuovo reato, disciplinato dall’articolo 314 bis del Codice penale, prevede pene da sei mesi a tre anni per pubblici ufficiali che destinano denaro o beni mobili ad usi diversi da quelli previsti dalla legge, procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno. In poche parole, il governo vuole evitare che i funzionari pubblici che fanno “favori” non siano punibili sul piano penale.
In questo modo l’abolizione del reato d’ufficio non creerebbe vuoti normativi e sarebbe compensata da questa novità legislativa, forse in grado di tranquillizzare il Presidente della Repubblica, a quanto pare non del tutto d’accordo sulla scelta del governo.
La reazione dell’Associazione Nazionale Magistrati non si è fatta attendere. «La cosa che colpisce – ha detto il presidente Giuseppe Santalucia – è che si abroga il reato di abuso d'ufficio e se ne introduce un altro, con decreto legge, che è il vecchio peculato per distrazione. Segno tangibile di una scelta infelice. Si corre ai ripari con un provvedimento normativo d'urgenza per introdurre una pezza per colmare quei vuoti di tutela che saranno creati dall'imminente abrogazione dell'abuso».
Ma il ministro Nordio ha smentito tali argomentazioni: «L'abuso d'ufficio puniva amministratori che facevano cose che non avrebbero dovuto fare a proprio vantaggio e a danno altrui. Nel peculato per distrazione vi è un'ipotesi completamente diversa, vi è un aspetto patrimoniale, un pubblico ufficiale che fa, di fondi che ha a disposizione, una destinazione diversa da quella per cui gli erano stati concessi. Il primo è un reato mono offensivo contro l'imparzialità della Pa, il secondo ha un aspetto di malversazione», ha spiegato il guardasigilli.
«La situazione era diventata intollerabile, vi erano migliaia e migliaia di indagini nei confronti di sindaci e pubblici amministratori che per anni sono rimasti sotto la tagliola giudiziaria, sono stati addirittura costretti alle dimissioni e poi assolti o addirittura archiviati», ha aggiunto. E alle critiche avanzate dall'Associazione nazionale magistrati ha replicato: «L'Anm dovrebbe domandarsi allora perché non prendere in considerazione la professionalità dei magistrati che hanno tenuto sotto pressing 5mila e passa sindaci e amministratori, hanno rovinato la loro carriera politica, personale, finanziaria per poi sentirsi dire che hanno sbagliato».
In effetti tanti amministratori locali hanno dovuto dimettersi perché accusati di abuso d’ufficio ma poi sono stati completamente scagionati. Ci hanno rimesso il posto, hanno visto andare in fumo la loro carriera politica, mentre tutte le toghe che li hanno ingiustamente incriminati sono ancora lì al loro posto. Ecco perché il reato d’ufficio, che si è trasformato in un’arma di ricatto della magistratura nei confronti della politica, è giusto abolirlo.
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