“Cancellare Salvini”, Rep sfida la deontologia
Il direttore Carlo Verdelli ha minimizzato definendolo una sintesi giornalistica, ma il titolo “Cancellare Salvini” supera i limiti della continenza e può essere male interpretato dalle “teste calde” anti-salviniane. Eppure Repubblica si è sempre iscritta all’“esercito del bene”. Cosa sarebbe successo a parti invertite?
Il direttore Carlo Verdelli ha minimizzato definendolo una sintesi giornalistica. Tuttavia quel titolo - “Cancellare Salvini” - è un pugno nello stomaco dei lettori e di tutte quelle persone di buonsenso che non amano gli estremismi e detestano giocare con i doppi sensi e con le parole stroncatorie. Due giorni fa il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ha ospitato, in apertura, un’intervista all’esponente del Pd, Graziano Delrio, che criticava i decreti sicurezza voluti dall’ex ministro dell’Interno nonché leader del Carroccio.
Le parole del capogruppo del Partito Democratico alla Camera erano in realtà molto pacate e contenevano l’auspicio, legittimo nell’ambito della normale dialettica democratica maggioranza-opposizione, del superamento dei decreti sicurezza che portano il timbro del Capitano, e in particolare di quelle parti che riguardano l’immigrazione.
Ma il titolo è davvero di cattivo gusto e siccome campeggia sulla prima pagina di un quotidiano che si è sempre iscritto al cosiddetto “esercito del bene”, quello schieramento che dice di voler combattere ogni forma di istigazione all’odio, lo stupore è inevitabile.
La parola “cancellare” ha un significato radicale e dalle “teste calde” anti-salviniane può essere interpretato anche come invito a far fuori fisicamente Salvini. Sicuramente sottende l’idea che Matteo possa essere eliminato in qualsiasi modo, anche per via giudiziaria. Invece una sinistra davvero rispettosa dei valori della Costituzione, tanto sbandierati ai quattro venti a ogni piè sospinto, dovrebbe avere l’ambizione di sconfiggere l’avversario (non il nemico) Salvini nelle urne.
Peraltro il segretario della Lega non ci ha pensato due volte a sfruttare mediaticamente questo evidente autogol di una voce autorevole della stampa di sinistra. «Per me è istigazione a delinquere», ha tuonato Salvini, mostrando una copia del quotidiano e sollecitando un intervento dell’Ordine dei giornalisti. «Non so se esista un Ordine dei giornalisti, ma dimmi tu se puoi titolare una roba del genere. Poi parlano di odio e violenza, “cancellare Salvini”. Democratico, alla faccia…».
La palla al balzo l’hanno presa quelli di Libero, spesso in sintonia con il pensiero leghista. Il direttore editoriale di Libero, Vittorio Feltri, in un tweet si è chiesto: «Cancellare Salvini con la gomma o col mitra? Perché l'Ordine non cancella Repubblica?».
Argomentato il ragionamento del direttore responsabile di quel quotidiano, Pietro Senaldi, che giustamente ha osservato: «Se Libero avesse titolato “Cancellare la Segre” un articolo che auspicava l’abolizione della Commissione parlamentare contro l’odio, politicamente legittima, probabilmente ci saremmo trovati il giorno stesso la polizia in redazione e un’incriminazione per razzismo. Senza considerare il carnevale che avrebbero inscenato i parlamentari del Pd, di Leu e di M5S, che invece quando si tratta di difendere Salvini tacciono vigliaccamente e con una gran dose di malafede».
Alessandro Sallusti ha accostato addirittura il caso Salvini-Repubblica al caso Calabresi, alludendo alla campagna di intellettuali e di “Lotta Continua” che creò le premesse culturali per l’omicidio del commissario di polizia quasi mezzo secolo fa. Il direttore del Giornale ha aggiunto: «Prendo atto che cancellare è un verbo che non ammette repliche o mediazioni, evoca una soluzione finale. E usarla in politica contro un rivale da un giornale che si nasconde dietro la senatrice Segre o il movimento delle sardine, tradisce l'atteggiamento da radical chic».
La replica del quotidiano La Repubblica non appare convincente: «Il senatore Salvini prende lucciole per lanterne: Repubblica ha riportato e sintetizzato in un titolo di prima pagina il senso di un'intervista al capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio sul tema delle politiche migratorie da cambiare, a partire dai decreti sicurezza - poi diventati legge - già criticati dal Quirinale. Trasformare la sintesi di un'intervista in un attacco personale è indebito e anche un po' indecente».
Ma la giurisprudenza è ricca di sentenze di condanna per diffamazione anche per semplici titoli di articoli dal contenuto non diffamatorio. Il requisito della continenza della forma espositiva è infatti uno dei tre requisiti della cosiddetta “sentenza decalogo” (ottobre 1984), che fissa i paletti invalicabili del corretto esercizio del diritto di cronaca. Inoltre, ai giornalisti è stata spesso imputata, sul piano disciplinare, una condotta faziosa e fomentatrice di odio.
Bene ha fatto, quindi, Alessandro Morelli, deputato e responsabile Editoria della Lega, ad annunciare un esposto all'Ordine dei giornalisti contro il quotidiano diretto da Carlo Verdelli e, immaginiamo, contro il direttore. In una fase storica contrassegnata da molteplici spinte alla violenza verbale, fomentate anche dai social, non sono un buon esempio titoli del genere, peraltro su prestigiosi quotidiani che si autoproclamano nemici di ogni forma di odio e rancore verso chi manifesta opinioni diverse, ma poi alla prima occasione, magari per qualche copia in più, cambiano radicalmente atteggiamento.