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ARTE E CATECHESI/4

Camminare nella navata è come un pellegrinaggio

Nella navata di una chiesa c'è sia l'immagine della nave - che ci salva come l'arca di Noè - sia le immagini della comunione e del cammino.

Cultura 09_07_2011
navata

Varcando la soglia della chiesa, si accede alla navata. Questo termine, che designa l’aula nella quale si raccoglie la comunità di fedeli, viene solitamente fatto derivare da “nave”. Le alte mura con le travi del tetto e gli spioventi di legno, visibili in molte chiese e in tutto simili a una chiglia rovesciata, devono aver suggerito fin dall’inizio l’immagine della nave.


Molti autori cristiani videro proprio nell’arca di Noè la prefigurazione della Chiesa. Ad esempio, già Origene, nelle Omelie sulla Genesi, sostiene il paragone: “Tutti gli uomini e tutti gli animali che furono salvati nell’arca rappresentano il popolo che viene salvato nella Chiesa”. Sant’Agostino lo esplicita ulteriormente: “Per quaranta giorni durante il diluvio l'arca di Noè galleggiò; l'arca è simbolo della Chiesa che è costruita con legni immarcescibili; i legni immarcescibili sono le anime dei santi e dei giusti… Finché siamo qui in terra, tutto questo tempo è l'arca in mezzo al diluvio” (Discorsi, 264). Il cardinale Bellarmino, siamo già nel XVII secolo, ammonisce scrivendo: “La Chiesa è paragonata all’arca di Noè, perché come durante il diluvio perirono tutti quelli che non erano nell’arca, così ora periranno quelli che non sono nella Chiesa” (Il sacramento del battesimo).


Ma l’immagine della nave applicata alla chiesa non limita il proprio significato alla messa in salvo dei fedeli dalle intemperie della storia. Ci introduce piuttosto a due aspetti fondamentali dell’assemblea cristiana: la comunione e il cammino. Due aspetti ravvisabili nella navata e che allo stesso tempo ci spingono oltre i suoi confini.


La comunità da sola, infatti, non trova in sé il motivo della propria unione. Per questo, quando si entra in chiesa e si accede alla navata, ci si fa il segno della croce: con questo gesto ogni membro esplicita che la comunità è lì convocata non per se stessa ma nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


A ben guardare, la comunità da sola non riuscirebbe neppure a istituire il giorno della festa che raduna la comunità. La domenica è propriamente il dies Domini, il giorno del Signore: non perché sia il risultato di un capriccio divino, ma perché la gioia è tale solo quando riconosce un avvenimento, qualcosa che non dipende dai propri desideri. In ultima analisi, è l’evento della risurrezione di Cristo che libera la gioia, condizione di possibilità della festa e di ogni comunione.


Insomma, una chiesa composta dalla sola navata imploderebbe. Sarebbe il segno di un mondo intento a confermare se stesso. Magari formato da uomini pii, zelanti e di colta dottrina, ma chiusi in un cerchio che gira intorno a se stesso.


Anche la direzione del cammino non è data dall’assemblea. Così come nulla dentro la navata riesce ad indicarla. Similmente, se torniamo un attimo all’arca di Noè e leggiamo i testi che nella Genesi la descrivono, possiamo constatare che anche quella sorta di grande casa galleggiante non aveva alcun timone, ovvero non aveva dentro di sé ciò che la guidava. 


La comunità quindi trova fuori dalla navata la direzione del proprio cammino. Direzione infatti che è data dal crocifisso che si staglia ben visibile nel presbiterio e che è sempre collocato in stretta relazione all’altare. In questo modo la struttura della chiesa rende manifesto e ricorda quanto detto da Cristo: “Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).


Camminare lungo la navata significa procedere tra i flutti della storia protetti nel seno della Chiesa. Non solo. Se facciamo caso al battistero, che troviamo solitamente in fondo alla chiesa, e lo rammentiamo fino a quando giungiamo agli scalini del presbiterio davanti al crocifisso, allora il nostro percorso, per quanto breve possa essere il tratto, richiama quello di Gesù, dal Giordano al Golgotha.


I fedeli che entrano in chiesa assumono quindi una forma che nella sua coralità rende manifesta una comunità pellegrinante. Dove la meta testimonia che l’umano è tale, è autentico, quando si fa libera risposta alla chiamata di Dio.