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EDITORIALE

Cameron rompe il tabù dei Trattati dell'Ue

L'Unione Europea dilaga in modo sempre più autoritario. Il premier britannico David Cameron rompe tabù fondamentali: compie un tour delle capitali europee per chiedere la revisione dei trattati internazionali, promuove un referendum sull'appartenenza all'Ue, mostra i vantaggi della fine dello status quo anche a noi italiani.

Editoriali 30_05_2015
David Cameron e Angela Merkel

Valutando che oggi siano questi i Paesi che contano davvero sulla scena europea, senza passare per Roma il premier britannico David Cameron ha fatto ieri e l’altro ieri un rapido giro in Europa toccando le capitali di Francia, Paesi Bassi, Polonia e Germania.

Tema dei colloqui, il più importante dei quali era ovviamente quello a Berlino con Angela Merkel: la proposta britannica di avviare un processo di riforma dei trattati su cui si fonda l’Unione Europea. Il giro di Cameron ha coinciso con la sua presentazione al Parlamento britannico dello Eu Referendum Bill, il progetto di legge in forza del quale entro la fine del 2017 gli elettori saranno chiamati in Gran Bretagna a rispondere “sì” o “no” al quesito: “Deve il Regno Unito continuare a essere membro dell’Unione Europea?”. Al momento tutto conferma che il grosso degli elettori è per il “no”. Cameron, che per parte sua è per il “sì”, chiede perciò una revisione dei trattati tale da riorientare verso il “sì” anche la maggioranza dei suoi concittadini. Le sue non sono però per adesso delle domande precise. Senza ulteriori precisazioni Cameron invita genericamente gli altri  capi di governo dell’Unione a essere “flessibili e creativi”. A parte questo il premier britannico sollecita una politica meno benevola verso i migranti irregolari che cercano accoglienza in Europa, ed è preoccupato che un ulteriore rafforzamento dell’eurozona possa far danno alla City di Londra, oggi centro finanziario di importanza planetaria. Vuole inoltre aver garanzia che quegli Stati membri che, come la Gran Bretagna, non intendono partecipare al processo di “sempre maggior unione” dell’Ue non ne diventino perciò dei membri di serie B. In tale quadro il progettato referendum del 2017 è da lui evidentemente inteso come uno strumento di pressione sui partner europei. 

Al riguardo è ovviamente decisiva la risposta della Germania, che finora resta tuttavia interlocutoria. E c’è nei circoli governativi tedeschi chi non esita a sostenere che un negoziato con Londra sotto la minaccia del referendum non sia accettabile per principio. Alla vigilia del suo incontro con il premier britannico il cancelliere tedesco Angela Merkel aveva dichiarato di augurarsi che la Gran Bretagna continui a far parte di “un’Europa forte e di successo”. Nella conferenza stampa seguita ieri all’incontro Merkel ha poi inaspettatamente aperto all’eventualità di ritocchi ai trattati. Pare insomma che adesso ritenga anche lei, come sostiene Cameron, che le modifiche auspicate da Londra (o almeno alcune di esse) siano "a vantaggio non solo della Gran Bretagna ma anche del resto d’Europa”.

In realtà non è detto che sia così, ma c’è comunque un fatto che rende in ogni caso l’iniziativa di Cameron importante anche per un Paese come il nostro. Grazie ad essa si rompe il tabù dell’intoccabilità dei trattati istitutivi dell’Unione Europea e di tutto il reticolo di pseudo-leggi che ne derivano, molte delle quali oggi vanno ben oltre le sue competenze. Oggi come oggi l’Unione Europea è una struttura che dilaga in modo tendenzialmente neo-autoritario; e  che è sempre più legata a una Germania per parte sua sempre più prussiana. Per la causa sia della libertà che del ruolo complessivo dell’Europa nel mondo attuale occorre rinnovarla profondamente. I motivi per cui un Paese come il nostro ha motivo di essere insoddisfatto dell’Unione sono spesso diversi da quelli per cui ne è insoddisfatta la Gran Bretagna, ma in comune abbiamo l’interesse a rompere il muro dello status quo. Per questo, se ci dotassimo finalmente di una politica estera attiva e non casuale, avremmo tutto l’interesse ad appoggiare Cameron nella sua richiesta di avviare un processo di revisione dei trattati europei.