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CONTINENTE NERO

Burkina Faso e non solo: democrazie fallite in Africa

Ribellione contro il presidente Blaise Compaoré, nel Burkina Faso. Aveva cercato di riformare la costituzione per farsi rieleggere presidente, dopo che era al potere, ininterrottamente, dal 1991. Dopo le dimissioni del presidente gli subentra un generale. Una democrazia fallita, un copione ripetuto tantissime volte in tutta l'Africa.

Esteri 02_11_2014
Blaise Compaoré

Erano insorti – le donne in testa, brandendo utensili da cucina – contro il loro presidente che preparava una modifica antidemocratica della costituzione: l’eliminazione dell’articolo 37 che limita a due i mandati presidenziali che una persona può ricoprire. Ne hanno approfittato i militari per fare un colpo di stato. È successo in Burkina Faso, un poverissimo paese dell’Africa Occidentale, da 27 anni governato da Blaise Compaoré: per l’esattezza, dal 15 ottobre 1987, giorno in cui Compaoré, allora ministro della giustizia, guidò un sanguinoso colpo di stato uccidendo personalmente, a quanto si dice, il presidente in carica, Thomas Sankara.

A Compaoré la soppressione dell’articolo 37 è necessaria per potersi candidare il prossimo anno, per la terza volta, alla carica presidenziale. In realtà, di mandati ne ha già svolti quattro. Nel 1991 e nel 1998 è stato eletto a un mandato della durata di sette anni. Poi, nel 2000, su pressione dell’opposizione e dei donatori internazionali, ha accettato che venisse approvata una costituzione, più democratica, che ha appunto introdotto, a partire da quel momento, il limite dei due mandati e ne ha ridotto da sette a cinque anni la durata. Compaoré, pretendendo di ripartire da zero, ha quindi concorso alle successive presidenziali del 2005 e del 2010, vincendole.

In previsione dell’appuntamento elettorale ormai imminente, negli ultimi mesi Compaorè ha intensificato le manovre per ottenere la cancellazione dell’articolo 37. A tale scopo, all’inizio di ottobre ha convocato un “dialogo inclusivo”: una serie di incontri organizzati per far convergere maggioranza e opposizione su un programma politico comune. Ma, al rifiuto dell’opposizione di operare la richiesta modifica costituzionale, Compaoré il 6 ottobre ha chiuso il “dialogo inclusivo” e il 21 ha presentato un progetto di legge che prevede la convocazione di un referendum per affidare alla popolazione la decisione di modificare o lasciare invariata la costituzione. Il suo partito, il Congresso per la democrazia e il progresso, ha presentato l’iniziativa come una dimostrazione di “autentica democrazia”. Ma in Burkina Faso, come in altri paesi africani, le elezioni in generale e tanto più i referendum sono facili da manipolare da parte di chi governa: con brogli, intimidazioni, acquisto di voti… In tali condizioni, un referendum diventa un mezzo per legittimare, con l’apparenza della volontà popolare liberamente espressa, decisioni prese ai vertici, nell’esclusivo interesse di chi detiene il potere e, come in questo caso, non intende rinunciarvi. Si spiega così la reazione di opposizione e difensori dei diritti umani che hanno definito la convocazione del referendum “un colpo di stato civile e costituzionale inaccettabile e illegittimo”.

Nei giorni scorsi la situazione è rapidamente degenerata. Il 30 ottobre migliaia di persone nella capitale Ouagadougou hanno marciato verso i palazzi del potere e, malgrado l’intervento delle forze dell’ordine, hanno raggiunto il parlamento e altri edifici, li hanno incendiati e saccheggiati. Il parlamento ha sospeso il voto sulla proposta di legge relativa al referendum ed è stato decretato lo stato d’emergenza. Il presidente Compaoré il giorno successivo ha tentato di riportare la calma dichiarando di aver capito le aspirazioni al cambiamento espresse dalla popolazione e dicendosi disposto ad avviare una fase di transizione, al termine della quale trasmettere il potere a un presidente democraticamente eletto. In altre parole: ha provato a prendere tempo mentre trattava con i vertici militari. Ma, quasi contemporaneamente, il capo di stato maggiore delle forze armate, Honoré Traoré, informava il paese dell’imminente creazione di un organismo di transizione a cui affidare i poteri esecutivi e legislativi, con la promessa di ripristinare l’ordine costituzionale entro 12 mesi. Poco dopo, Compaoré annunciava le proprie dimissioni, raccomandando che si andasse al voto entro 90 giorni, come prevede la costituzione. La popolazione ha accolto la notizia riversandosi per le strade, danzando e festeggiando.

In base alla costituzione, in caso di dimissioni del capo dello stato, la carica dovrebbe essere affidata al presidente del parlamento. Invece è stato il generale Traoré ad assumerla. Ma, neanche 24 ore dopo, già si delineava una frattura all’interno dell’esercito. Il 1° novembre il colonnello Isaac Zida, vice comandante della guardia presidenziale, ha infatti dichiarato “decaduta” la rivendicazione della presidenza da parte di Traoré. Rivolgendosi al paese ha dichiarato: “assumo adesso le responsabilità di capo della transizione e dello stato per garantire la continuità dello stato e una transizione democratica graduale, senza ostacoli”.

Molti colleghi di Compaoré hanno tentato, prima di lui, di modificare la costituzione sopprimendo i limiti al numero dei mandati presidenziali: limiti dapprima accettati per compiacere Banca Mondiale, Fondo monetario internazionale e paesi donatori. Ci sono riusciti con successo, tra gli altri, Paul Biya, presidente del Camerun dal 1982, Idriss Déby Itno, presidente del Ciad dal 1991, Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda dal 1986. Ci stanno provando adesso Paul Kagame, presidente del Rwanda dal 1994, e Joseph Kabila, presidente della Repubblica Democratica del Congo dal 2001, anno in cui ha ereditato il potere dopo l’assassinio del padre, Laurent Désiré.

Compaorè è uno dei cinque capi di stato africani su cui indaga la procura di Parigi per determinare l’origine dei capitali con cui hanno potuto acquistare proprietà immobiliari di grande valore in Francia: di sicuro – sostengono le organizzazioni non governative che hanno sollevato la questione – non risparmiando sul loro stipendio. Il Burkina Faso è 181°, su 187 stati considerati, nell’Indice di sviluppo umano 2014. Nel paese la speranza di vita alla nascita è di 56 anni, la mortalità materna è di 300 donne ogni 100.000 bambini nati vivi (per un confronto, in Italia è di quattro donne), solo il 28,7% della popolazione adulta è alfabetizzata, il 26% dei bambini di età inferiore a cinque anni è sottopeso, il 39% dei minori, di età compresa tra cinque e 14 anni, lavora, il 45% della popolazione è sotto la soglia di povertà, ovvero dispone di un reddito inferiore a 1,25 dollari al giorno.