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REGNO UNITO

Brexit, nessuno vuol contraddire il popolo

Il Parlamento britannico, il 7 dicembre, ha votato a favore della tabella di marcia del governo: a marzo verrà attivato l’articolo 50 e il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea. Ma non era già stato deciso a giugno? La “Brexit” è stata votata con un referendum popolare lo scorso giugno, in effetti. E nessuno, per ora, se la sente di ribaltare il risultato.

Esteri 11_12_2016
Camera dei Comuni

Il Parlamento britannico, il 7 dicembre, ha votato a favore della tabella di marcia del governo: a marzo verrà attivato l’articolo 50 e il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea. Ma non era già stato deciso a giugno? La “Brexit” è stata votata con un referendum popolare lo scorso giugno, in effetti. Ma, come dimostra il voto parlamentare del 7 dicembre, non era la parola “fine” sulla procedura di uscita, che si preannuncia lunga e difficile. Per far scattare l’ormai famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona (ritiro dall’Ue), servono altri test, altri voti. Theresa May, la premier conservatrice convertita alla causa della Brexit, ha però superato una prova di forza politica, questa settimana, che ha avuto poco risalto nei media ma che può rivelarsi decisiva.

Nei giorni immediatamente successivi al referendum avevano avuto ampio risalto sui media tutti i tentativi di annullare l’effetto del voto popolare, fra cui le petizioni per tornare alle urne e una causa intentata dalla businesswoman Gina Miller per chiedere una legge vincolante votata dal Parlamento prima di attivare l’articolo 50. Le prime iniziative sono finite subito con un nulla di fatto. La causa di Gina Miller, al contrario, è stata vinta, l’Alta Corte le ha dato ragione e il governo è ricorso in appello presso la Corte Suprema (organismo nato 11 anni fa per dirimere le controversie sulla devoluzione delle nazioni non inglesi del Regno Unito). La sentenza è attesa per gennaio. Secondo un’anticipazione pubblicata ieri dal quotidiano Telegraph (più vicino ai conservatori), la Corte Suprema è attualmente spaccata sulla conferma della sentenza. Ci sarebbero 7 giudici favorevoli e 4 contrari. Apparentemente una brutta notizia per la Brexit, in realtà è una (ipotetica) vittoria per il governo May. Infatti le prime previsioni davano per scontata l’unanimità dei giudici favorevoli alla sentenza, dunque al voto parlamentare. Al massimo parlavano di maggioranza schiacciante, di 10 a 1. Il fatto che la Corte appaia già divisa adesso, indica che la questione dell’illegalità della Brexit (così come viene ora gestita dal governo) è tutt’altro che scontata. Se queste anticipazioni dovessero risultare corrette, cosa significa? La Corte, nel caso sia confermato il risultato, darebbe al Parlamento la possibilità di votare la nuova legge sulla Brexit. Con un parere totalmente contrario al governo, gli oppositori si sentirebbero le spalle legalmente coperte per condurre una guerriglia parlamentare contro la May, fatta di emendamenti e ostruzionismo, in modo da ritardare e rendere difficile la Brexit. Ma con una Corte così spaccata, già adesso, conviene a tutti i membri dell’opposizione fare poco rumore e allinearsi alle scelte del governo. Fare ostruzionismo sarebbe, in quel caso, un suicidio elettorale.

Rispetto alla causa di Gina Miller, è passata più in sordina una mozione non vincolante proposta dal Partito Laburista in cui si chiede, sempre con voto parlamentare, di approvare o respingere la tabella di marcia del governo. Quella, insomma, che fissa a marzo la scadenza per l’attivazione dell’articolo 50. La Camera dei Comuni ha votato il 7 dicembre scorso e il risultato è eclatante: 461 hanno votato a favore e solo 89 contrari. Da notare che, fra i favorevoli ci sono anche quasi tutti i laburisti, tranne 23 deputati che si sono opposti. E un solo conservatore, Ken Clarke, euro-entusiasta della prima ora. Fra gli 89 oppositori figurano soprattutto 5 liberaldemocratici e i deputati del Snp, il partito degli indipendentisti scozzesi. Una posizione più che comprensibile, la loro: la Scozia, con la Brexit, ha l’occasione di secedere dal Regno Unito col pretesto di ri-entrare nell’Ue. Avrebbe così anche l’appoggio e la legittimazione di Bruxelles. L’analisi del voto laburista rivela dei dettagli interessanti e permette di fare una previsione su quel che accadrà all’inizio dell’anno prossimo. I 23 che hanno votato contro il governo rappresentano collegi elettorali urbani che, nel referendum, si sono opposti alla Brexit. Sono comunque una minoranza. Gli altri laburisti, quelli che hanno votato a favore, sono invece rappresentanti di contee più povere, un voto operaio fortemente euro-scettico.

Dunque abbiamo anche la possibilità di fare una previsione per i prossimi mesi. Se la Corte Suprema dovesse decidere di passare di nuovo la palla al Parlamento, è possibile che il voto sarà simile, a grandi linee, a quello del 7 dicembre. Non c’è ragione che i laburisti che hanno votato a favore della May questa settimana, fra un mese o due ricomincino a scontentare l’elettorato delle loro aree. Di fatto il Parlamento si è già espresso ed è un “sì” all’uscita dall’Unione. Pensare che questo risultato possa essere ribaltato in extremis è possibile (e questo 2016 ci ha dimostrato che tutto è possibile nella politica), ma quantomeno improbabile. Molto improbabile. E’ dunque inutile l’enfasi che i media pongono su tutte le singole difficoltà incontrate dalla Brexit. La maggioranza del popolo si è espressa e né (l’ex euro-entusiasta) Theresa May, né il Parlamento hanno dimostrato qualche intenzione di contraddirla o ignorarla.