Botticelli, il pittore del sacro e del profano
Il 17 maggio di 510 anni fa moriva Sandro Botticelli (1445-1510). L’artista fiorentino si dilettò tanto nelle opere a carattere sacro, vedi i suoi affreschi nella Cappella Sistina, quanto in quelle profane, con vari soggetti a carattere mitologico. Tre suoi famosi quadri ispirarono il “Trittico botticelliano” di Ottorino Respighi.
Il 17 maggio di 510 anni fa, moriva a Firenze, dov’era nato, il pittore del sacro, vedi i suoi affreschi della Cappella Sistina in Vaticano, e del profano, vedi i suoi quadri a carattere mitologico: Sandro Botticelli (1445-1510).
Commemoriamolo al modo nostro solito, quello della passione per la musica, occupandoci di una composizione che si ispira a tre suoi dipinti assai celebri, conservati alla Galleria fiorentina degli Uffizi: il Trittico botticelliano per piccola orchestra, scritto da Ottorino Respighi (1879-1936), «il più aristocratico dei nostri compositori, il più geniale dei nostri sinfonisti», come lo definisce Ada Negri (cfr. P. Maurizi, Ettore Patrizi, Ada Negri e la musica, Morlacchi, Perugia 2007, p. 41).
Terminata nella primavera del 1927, la partitura fu eseguita per la prima volta il 28 settembre 1927 a «Vienna dove Respighi - secondo la testimonianza della moglie - diresse [presso la Konzerthaus] la prima del Trittico botticelliano in [occasione di] un concerto organizzato da Mrs. Coolidge», nota mecenate americana, e «l’esecuzione fu buona e l’accoglienza del pubblico abbastanza calorosa» (E. Respighi, Ottorino Respighi. Dati biografici ordinati, Milano, Ricordi 1954 p. 199).
I tre quadri evocati da Respighi sono La Primavera, L'Adorazione dei Magi e La Nascita di Venere. Del terzo e del primo, profani e dipinti rispettivamente intorno al 1485 e nel 1478 circa, dice il Vasari: «Per la città [di Firenze] in diverse case fece tondi di sua mano e femmine ignude assai, delle quali oggi ancora a Castello, villa del duca Cosimo, sono due quadri figurati: l’uno Venere che nasce, e quelle aure e venti, che la fanno venire in terra con gli amori, e così un’altra Venere che le grazie la fioriscono, dinotando la Primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse» (G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti, vol. III, Sansoni, Firenze 1878, p. 312).
Il secondo quadro è una pala d’altare dipinta dal pittore fiorentino verso il 1475 per una cappella di Santa Maria Novella a Firenze, dove, sullo sfondo di antiche rovine, secondo le parole del Vasari, «si vede tanto affetto nel primo vecchio, che baciando il piede di Nostro Signore, e struggendosi di tenerezza, benissimo dimostra avere conseguita la fine del lunghissimo suo viaggio. E la figura di questo re è il proprio ritratto di Cosimo vecchio de’ Medici, di quanti a’ dì nostri se ne ritrovano, il più vivo e più naturale. Il secondo, che è Giuliano de’ Medici, padre di papa Clemente VII, si vede che intensissimo con l’animo divotamente rende riverenza a quel putto, e gli assegna il presente suo. Il terzo che, inginocchiato egli ancora, pare che adorandolo gli renda grazie e lo confessi il vero Messia, è Giovanni figliolo di Cosimo. Né si può descrivere la bellezza che Sandro mostrò nelle teste che vi si veggono; le quali con diverse attitudini son girate, quale in faccia, quali in profilo, quale in mezzo occhio, e qual chinata, ed in più altre maniere e diversità d’arie di giovani, di vecchi, con tutte quelle stravaganze che possono far conoscere la perfezione del suo magistero; avendo egli distinto le corti di tre re di maniera, che e’ si comprende quali siano i servidori dell’uno e quelli dell’altro: opera certo mirabilissima, e per colorito, per disegno e per componimento ridotta sì bella, che ogni artefice ne resta oggi meravigliato» (G. Vasari, Ibidem, pp. 315-316).
I colori delicati, lirici del Botticelli sono ben richiamati da un organico strumentale ridotto, rispetto a quello dei celebri poemi sinfonici di Respighi: flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno, tromba, triangolo, campanelli, celesta, arpa, pianoforte e archi. Consideriamo brevemente il primo e il terzo movimento per soffermarci invece sul secondo.
Il movimento d’esordio rappresenta in forma esuberante l'«Allegoria della Primavera»: il Respighi revisore e trascrittore di musiche antiche non a caso sceglie una melodia di danza che, qui introdotta prima dal fagotto e poi riecheggiata da tutta l’orchestra, riporta facilmente alla mente una festa ai tempi di Botticelli. L’ultimo movimento, ondeggiante, intende cogliere Venere che, appena nata, si trova nuda dentro un guscio di conchiglia di san Giacomo dalle dimensioni superiori al normale; sentiamo melodie che si fondono e che si muovono dal primo piano allo sfondo quasi trasportate dal mare qui evocato, le cui onde alla fine si allontanano lentamente quando la dea parte.
Nel secondo movimento cogliamo la profondità del Natale grazie a due noti motivi. Il primo, Veni, Emmauel, eseguito - quasi un organo - da flauto e fagotto a distanza di due ottave, è un bellissimo inno d’Avvento francese del XV secolo, che ha maggior fama nei Paesi anglosassoni, dove si canta O Come o come Emmanuel, piuttosto che in Italia. Il testo delle strofe si basa sulle Antifone O, cioè le sette antifone maggiori dell’Avvento che si cantano ai Vespri tra il 17 e il 23 dicembre e iniziano tutte con il vocativo «O» (O Sapientia, O Adonai, O Radix Jesse, O Clavis David, O Oriens, O Rex gentium, O Emmanuel); le parole del ritornello preparano al Natale: «Rallegrati, rallegrati! L’Emmanuele nascerà per te, o Israele».
Un episodio dall’atmosfera orientaleggiante, con frammenti della melopea con cui è iniziata l’Adorazione, ci porta verso Tu scendi dalle stelle, il secondo canto natalizio qui incluso, scritto a Nola nel dicembre 1754 da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa. Tale melodia ora quasi emerge tra i doni orientali recati dai Magi e rimane «fino ad oggi, quando ancora la possiamo sentire cantare fin nelle più remote parrocchie, il simbolo italiano del Natale» (G. Pestelli, Le Sonate di Domenico Scarlatti, Giappichelli, Torino 1967, p. 205). In questo modo Respighi italianizza ingegnosamente il Natale, come fa Botticelli nella sua tempera su tavola, dove i Magi, che rappresentano tutte le genti a cui il Signore si manifesta, giungono a Betlemme dall’Italia invece che dall’Oriente per rendere omaggio al Re dei Giudei (cfr. Mt 2,1-2).
Botticelli, pittore del sacro e del profano, e, in particolare, il Trittico botticelliano di Respighi ci fanno meglio comprendere le parole di san Basilio, che spiega con una similitudine come trarre profitto dalla cultura pagana del tempo: «Certamente, com’è essenziale per l'albero produrre frutti a suo tempo, e tuttavia anche le foglie che si muovono intorno ai rami gli offrono un qualche ornamento, così anche per l'anima il frutto essenziale è la verità, ma non si deve disprezzare la veste della dottrina profana che rassomiglia a quelle foglie che danno al frutto ombra e aspetto piacevole» (S. Basilius, Ad adolescentes, 2: PG 31, 567A).