Boehner si dimette dopo il sogno realizzato dal Papa
Il presidente della Camera del Congresso statunitense, il repubblicano John Boehner, si è dimesso. Lo ha fatto per divergenze tattiche con la base del suo partito, su come levare i fondi pubblici a Planned Parenthood. Ma prima di dar le dimissioni ha realizzato il suo sogno di cattolico: accogliere il Papa in Congresso.
John Boehner, lo Speaker della Camera federale di Washington, si è dimesso venerdì 25 settembre, con effetto a partire dall’ultimo giorno di ottobre. Una decisione improvvisa solo a metà, perché era nell’aria da tempo. Non ne poteva più, infatti, delle continue pressioni dell’ala più oltranzista del Partito Repubblicano, il suo, che lo giudicava troppo morbido verso la Casa Bianca. Il che è piuttosto sorprendente, visto che Boehner non è affatto un moderato.
Quando venne nominato alla guida della Camera, il 3 gennaio 2011, lo fece sull’onda della “rivincita” elettorale ottenuta dai Repubblicani il 2 novembre 2010. Fu una rivalsa imperiosa sui Democratici che avevano portato Barack Obama alla Casa Bianca due anni prima e tutta dovuta ai “Tea Party”, allora al massimo dello splendore. Boehner non apparteneva al loro mondo barricadero, ma questo non era di per sé un problema. Fino a che non gli è stata appiccicata addosso la nomea di uomo di apparato. Il che è vero, a patto però di capirsi.
Dopo la vittoria Repubblicana del 2010, la campagna per le presidenziali del 2012 mise in evidenza un fatto netto: il baricentro del Partito Repubblicano non era mai stato tanto a destra. Era l’esito di un processo politico-culturale antico, ma non di meno riuscito. E sorprendente, giacché i Repubblicani non nacquero affatto a metà Ottocento come partito conservatore, non lo sono stati fino alla campagna elettorale combattuta nel 1964 dal senatore Barry M. Goldwater (1909-1998) e solo in quella data hanno cominciato la lunga marcia giunta in porto, attraverso l’era di Ronald Reagan (1911-2004), appunto nel 2012. Paradossalmente quell’anno i Repubblicani persero ancora la Casa Bianca (per incapacità di monetizzare e gestire il successo), ma ciò che è rimasto dopo quell’ennesima sconfitta è stato l’antagonismo tra le sue diverse anime, tutte in un modo o nell’altro conservatrici. Segno del consolidamento ulteriore della nuova identità “di destra” del partito, oramai irreversibile. Ebbene, tra quelle varie anime se n’è evidenziata anche una “di apparato”, rappresentata cristallinamente da Boehner, ma, appunto, di un nuovo apparato “di destra”. Prima, invece, l’“apparato” del partito era egemonizzato dai Repubblicani liberal. Le dimissioni di Boehner sono dunque l’uscita di scena di una destra del partito, vinta da un’altra destra. Non una corrente più a destra, solo più spregiudicata.
Boehner è sempre stato un avversario deciso di Obama, e Obama lo sa bene, ma spesso ha agito di tattica e di strategia. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’approvazione del bilancio federale. Se non avviene, costringe il governo a chiudere le agenzie federali per mancanza di denaro, il famoso shutdown. In momenti di forte antagonismo politico diventa un’arma formidabile, come oggi è per i Repubblicani decisi a mettere Obama in ginocchio sulla questione della spesa pubblica e delle tasse. E oggi i Repubblicani stanno giocando la carta dello scandalo che, da noi praticamente ignorato, ha colpito la Planned Parenthood (PP), cioè il massimo abortificio mondiale, colta con le mani nel sacco a vendere illegalmente tessuti umani ricavati da feti abortiti. Siccome la PP è una Ong che percepisce denaro statale, i Repubblicani, decisi a non finanziare la PP, agitano lo spettro dello shutdown. Boehner però non crede sia la strada giusta. È altrettanto deciso a togliere i finanziamenti federali alla PP, ma non crede che lo shutdown faccia bene al Paese. Opinioni: questioni di strategia, non di principio. Sui princìpi l’accordo c'è: smettere di pagare la PP. Solo che Boehner e i “Tea Party” sono sempre stati due modi diversi di fare politica conservatrice. Boehner pensa che a volte un passo non indietro ma di lato sia utile, i “Tea Party” restano convinti non che un passo avanti ma un calcio contro sia sempre l’unica soluzione.
Boehner ha perso. Perché ha aspettato tanto ad andarsene, visto che le parole grosse volano da tempo? Perché solo oggi Boehner ha coronato il sogno di una vita. Si è dimesso il giorno dopo lo storico discorso di Papa Francesco al Congresso, la prima volta del Vicario di Cristo nel cuore dell’assemblea legislativa statunitense. Non era mai accaduto e chi è riuscito a farlo è stato il cattolicissimo Boehner. Lo sognava da una vita. Adesso tornerà a casa, in Ohio; non farà nemmeno più il parlamentare. Il suo essere “di apparato” significa servizio, non carrierismo. Ha servito, come Cincinnato rimette il mandato.
Boehner è famoso per due cose: le cravatte sgargianti, parte delle sue mise sempre impeccabili, e le lacrime facili. Il fatto è che si commuove, lui così asciutto, nei momenti caldi, quando il cuore entra anche nella politica. Davanti al Papa dentro il cuore politico degli Stati Uniti ha pianto. Ora bisognerà vedere se le sue dimissioni, volute per digrignare i denti davanti ai Democratici da un mondo conservatore non più ma diversamente di lui, non finiranno per penalizzare proprio i Repubblicani in corsa per la Casa Bianca. Perché se così fosse saremmo alla tragedia in perfetto canone aristotelico, quando la peripeteia, la conseguenza non voluta dei propri atti (per esempio una intenzione di bene che finisce male), porta al rovescio di fortuna, la catastrofe.