Blackout dei social network. È un problema di monopolio
Il 4 ottobre si è registrata la più lunga interruzione di servizio di Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger dal 2008. Sui social network non c'è solo divertimento, ma il nostro lavoro. Un blackout pone il problema della concentrazione in un solo proprietario, Mark Zuckerberg, che ormai possiede tutte le piattaforme più diffuse.
L’hanno definito il lunedì nero dei social. L’altro ieri, 4 ottobre, si è registrata la più lunga interruzione di servizio di Facebook, Instagram, WhatsApp e Messenger dal 2008. Infatti qualcuno ha parlato di Mega Down.
Le piattaforme di Mark Zuckerberg, a partire dalle 17,40, sono infatti andate in blackout mondiale per più di sei ore, con la conseguente caduta di ben oltre il 5% delle azioni Facebook in borsa, pari a 6,11 miliardi di dollari (5,26 miliardi di euro). Durante il down, milioni di utenti si sono affidati a Twitter, dove gli hashtag #whatsappdown, #instagramdown e #facebookdown sono diventati immediatamente trending topic: i tre hashtag in pochi minuti hanno generato un volume di circa 100mila tweet.
Lo stesso Zuckerberg si è dovuto affidare alla piattaforma rivale per informare i propri utenti di quello che stava accadendo. Sheera Frenkel, reporter del New York Times, ha riferito che per lungo tempo gli impiegati di Facebook chiamati a risolvere il problema non sono riusciti nemmeno ad accedere agli uffici perché il loro badge non funzionava, senza inoltre poter ricevere mail da indirizzi esterni. Facebook si è scusato ieri per l'interruzione che lunedì pomeriggio/sera ha impedito a miliardi di utenti di accedere alle sue piattaforme e ha spiegato che il blocco è stato causato da "modifiche alla configurazione sui router backbone", senza specificare esattamente quali fossero le modifiche. La nuova configurazione ha causato "problemi che hanno interrotto il flusso di traffico tra i router nei data center di tutto il mondo" provocando un "effetto a cascata sul modo in cui comunicano i nostri centri" e “interrompendo i nostri servizi".
L'interruzione ha segnato il periodo di inattività più lungo per Facebook dal 2008, quando un bug ha messo offline il sito per circa un giorno, colpendo circa 80 milioni di utenti. Oggi il social ne conta oltre 3 miliardi. Ma ora che i servizi di quelle piattaforme sono tornare alla normalità, una riflessione va fatta su quanto accaduto e, in generale, sul regime attuale dei social nel mondo. Per 6 interminabili ore, miliardi di persone non hanno potuto connettersi a Facebook e alle altre piattaforme. Banalmente qualcuno ha commentato: “Meglio così, ci disintossichiamo per un po’ dai social, in fondo possiamo interagire con i nostri amici anche dal vivo”.
La realtà è però molto più complessa. Le piattaforme non sono soltanto il regno dell’interazione ludica, dello svago, del passatempo. Attraverso Facebook si conducono attività professionali, commerciali, pubblicitarie. Se non funziona un social non risulta menomata soltanto la nostra capacità di ridere, scherzare, fare un post ma anche e soprattutto l’operatività di milioni di utenti che attraverso i social incrementano il loro volume di affari, intraprendono business, svolgono attività remunerate. I nostri dati che viaggiano sui social sono ormai il petrolio insostituibile dell’economia digitale e fanno le fortune di chi gestisce queste piattaforme arricchendosi sempre di più e gestendo una sorta di sovranità immensa, senza un territorio definito. La sovranità dei colossi del web è ancora più soverchiante rispetto a quella statuale, ma più sfuggente, in quanto deterritorializzata.
E Zuckerberg in particolare si muove da quasi monopolista, gestendo al momento le piattaforme maggiormente utilizzate per lavoro e per svago. E questo, da un certo punto di vista, è financo inquietante perché mette a nudo la mancanza di pluralismo e di concorrenza nel mondo della Rete e configura una sorta di monopolio globale.
Se dunque il blackout di 48 ore fa ci ha fatto comprendere quanto siano diventati importanti per noi i social, esso ha anche risvegliato in noi la consapevolezza di quanto sia illusoria la democrazia della Rete in mancanza di regole giuridiche sovranazionali, di tetti anticoncentrazionistici, di stringenti vincoli di trasparenza per chi gestisce le piattaforme e si arricchisce con esse. Affidare a un unico soggetto globale o anche a pochi pochissimi giganti del web le chiavi della nostra identità digitale e la tutela dei nostri diritti, anche quello alla libertà d’espressione, potrebbe rivelarsi una vera e propria sciagura per il nostro futuro e per il futuro delle nuove generazioni. Occorre, quindi, valutare le reazioni generalizzate a questo blackout come un segno dei tempi e avviare un dibattito mondiale sulla necessità di ripensare i social nella loro essenza, nel loro funzionamento e nella loro gestione.