«Bimbo con tre genitori: il primo Ogm umano»
Il Parlamento britannico ha approvato la tecnica della donazione mitocondriale: una manipolazione genetica che porta alla nascita di un bambino figlio di tre genitori. Una sorta di vita umana Ogm, «il primo in campo umano», come afferma il professor Augusto Pessina.
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Il Parlamento britannico ha approvato recentemente la tecnica della donazione mitocondriale, che nasce per evitare la trasmissione genetica al figlio di gravi patologie a carico della madre, che di solito colpiscono il sistema nervoso e l’apparato muscolare. La Gran Bretagna diventa così il primo Paese al mondo ad autorizzare la metodica altamente controversa che prevede la fecondazione in vitro, utilizzando non solo il Dna di padre e madre ma anche quello di un’altra donna: il Dna mitocondriale difettoso della madre naturale viene sostituito con il Dna della donatrice sana. Il bambino nato avrebbe il 99,8% del Dna del padre e della madre naturali e lo 0,2% di Dna della donatrice.
La donazione mitocondriale è stata invece vietata in altri Paesi, anche perché a oggi, in mancanza di studi scientifici a lungo termine, restano sconosciuti i rischi e le complicazioni possibili. Sono in molti, anche in ambito scientifico, a parlare di una vera e propria manipolazione embrionale, e non è escluso che l’adozione di una simile metodica possa costituire la premessa per consentire esperimenti di eugenetica. Perplessità e forti critiche accompagnano l’esigenza di una maggiore chiarezza. Ne abbiamo parlato con il professor Augusto Pessina, docente di Microbiologia e responsabile del Laboratorio di Colture Cellulari del Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche dell'Università degli Studi di Milano.
Professor Pessina, c’è poca chiarezza sulla tecnica della donazione mitocondriale, in cosa consiste?
«In sostanza si utilizza il Dna mitocondriale di una terza persona che va a sostituire il Dna mitocondriale dell’uovo, che si suppone malato. Pertanto, se questo uovo verrà fecondato noi avremo il Dna dell’ovocita della signora ”X”, il Dna dello spermatozoo del signor “Y” e il Dna mitocondriale della signora “Z”. Si tratta dunque, come si è giustamente detto, di una tecnica che introduce un terzo elemento di genitorialità: in effetti, non siamo più di fronte semplicemente all’ovocita della signora, ma al nucleo dell’ovocita della signora unito al Dna mitocondriale di un’altra donna, una terza persona rispetto alla coppia».
Questo è sufficiente per dire che si tratterebbe di “bambini con tre genitori”? Coloro che sono favorevoli all’approvazione di questa tecnica osservano che il Dna mitocondriale donato rappresenterebbe solo lo 0,2% del Dna complessivo della cellula.
«Alcuni ritengono che poiché il Dna mitocondriale non è nel nucleo, allora esso non fa parte del corredo cromosomico classico, e dunque il terzo Dna non va considerato un terzo genitore. In realtà, le cose non stanno così, perché non si tratta di un problema quantitativo. È vero che il Dna mitocondriale è solo una piccola parte, circa 30 o 40 geni rispetto ai 25 o 30mila del Dna nucleare, ma qui il discorso è qualitativo: con questa tecnica partecipano a costruire il nuovo essere umano tre fonti di Dna che derivano da tre persone diverse. A mio avviso, pertanto, non è sbagliato parlare di tre genitori. Si potrebbe argomentare che si tratta di due genitori al 99% e uno all’1%, ma il tutto renderebbe la cosa ancor a più assurda e incomprensibile».
Si dice che in fondo i mitocondri sono solo le “centrali energetiche” della cellula, quasi a dar loro un ruolo importante ma secondario…
«Una funzione sicura che è stata loro attribuita è quella della catena ossiriduttiva: servirebbero alla respirazione e a molte funzioni connesse, ma questo argomento non è affatto chiarito del tutto. In realtà, non conosciamo ancora a fondo queste componenti, non sappiamo qual è il ruolo che viene chiamato tecnicamente “epigenetico” del Dna mitocondriale: sappiamo che esiste questo Dna e che ci sono delle patologie legate a sue disfunzioni, mutazioni o delezioni, ma non sappiamo quanto il Dna mitocondriale interferisca con le funzioni globali della cellula, come interagisca con le altre componenti, e quindi quale sia il suo contributo reale. In altre parole, a oggi non conosciamo come interagiscono tra loro le varie informazioni che la cellula al suo interno contiene. Ciò significa che non sappiamo quale potrà essere nel futuro lo sviluppo di un individuo che abbia un Dna mitocondriale che proviene da un terzo soggetto, perché non c’è una sperimentazione a lungo termine (solo qualche esperimento sugli animali) che possa escludere con esattezza problemi di sviluppo. Pertanto, anche dal punto di vista cautelativo, rimane un grosso interrogativo che riguarda i danni possibili nello sviluppo che non conosciamo affatto a priori».
Parte della polemica suscitata dall’iniziativa del governo britannico si è concentrata sull’uso di alcuni termini: c’è chi parla del rischio di una manipolazione del corredo genetico degli embrioni. É questo il caso?
«Direi tendenzialmente di si, perché (anche quando non sia una manipolazione fatta sull’embrione già formato ) si tratta della manipolazione di un gamete che poi servirà per ottenere l’embrione e il risultato finale è che abbiamo un embrione che presenta un corredo globale che è stato manipolato. Si parla tanto di Ogm, questo sarebbe il primo organismo geneticamente manipolato in campo umano. Non si tratta di una manipolazione che interviene sui geni e li modifica, ma di sicuro si è negata l’integrità biologica di una cellula e la si è modificata integrandola con parti di un’altra cellula, e questa comunque è da ritenersi a mio avviso una manipolazione genetica o paragenetica, perché non si modificano i geni ma il corredo genetico».
C’è il rischio di una deriva eugenetica?
«É una possibilità da considerare. Uno dei punti critici della questione è che la tecnica sarebbe applicata nell’ambito della fecondazione assistita da molti considerata, impropriamente, una terapia. Cosa che a mio parere non è. Dunque, qui siamo di fronte al fatto che per la prima volta in una pratica medica – da alcuni chiamata terapia – si interviene modificando la parte genetica dell’individuo. Questo comporta certamente tanti interrogativi sulla possibilità di manipolazioni anche future di varia natura, e potrà anche avere ricadute nell’ambito di indagini forensi».
Proprio dal punto di vista legale, la donna che dona i suoi ovociti con mitocondri sani può avere in futuro una qualche rivalsa sul bambino?
«Si apriranno probabilmente dei contenziosi. Chi può assicurare che un domani questa terza persona non avrà la pretesa di un qualche diritto sul bambino? In effetti, dal punto di vista biologico ci sono le basi per farlo: se, in medicina forense, non fossi sicuro e dovessi dimostrare chi è la madre di un bambino, io prenderei a riferimento il Dna mitocondriale. É ovviamente essenziale la verifica del Dna nucleare, ma siccome il Dna mitocondriale viene trasferito esclusivamente dalla madre e non dal padre, di fronte ad un dubbio su chi sia la madre questa analisi offrirebbe la certezza matematica».
Un altro rischio è la creazione di un mercato illecito di ovociti, cosa ne pensa?
«É un rischio reale, sappiamo che già esiste un mercato del genere, soprattutto in Danimarca, ma la deriva commerciale si aprirebbe ancora di più perché verrebbe valorizzato il donatore sano, o più sano. Dico “più sano” perché i mitocondri potrebbero avere delle patologie che oggi non conosciamo, oggi ne conosciamo alcune importanti ma non tutte. E questo ovviamente espone a grandi rischi».
C’è chi dice che in fondo si tratta di una tecnica che consente a delle donne malate di avere figli, e averli sani: un facilitatore della maternità.
«Qui entriamo in una dimensione antropologica. Personalmente ritengo che anche le soluzioni che tendono a semplificare i problemi, bypassando dati che la natura in secoli ha sviluppato, devono essere prese sempre con molta prudenza. Anche se l’iniziativa può avere un certo interesse biologico, dal punto di vista dell’esito io direi che è quanto meno imprudente e ingenuo dire che questo risolve il problema, perché presuppone una semplificazione che non è accettabile mentre servono un approfondimento e una sicurezza maggiori».
C’è la possibilità, secondo lei, che in Italia, come è accaduto in Gran Bretagna, queste tecniche trovino approvazione?
«Temo di si perché tutte queste nuove tecniche – fra cui va considerata anche la fecondazione in vitro - quando sono nate avevano paletti di un certo tipo che poi sono caduti. Pensiamo alla fecondazione eterologa, oggi siamo arrivati persino all’utero in affitto mentre anni fa si diceva “è impossibile”, e invece ci siamo arrivati. Secondo me è una china drammatica, come un grave che rotola su un piano inclinato: si cerca di frenarla ponendo delle domande legittime, per una maggiore sicurezza, ma il percorso temo che sia inarrestabile. É solo una questione di tempo, e temo che nel tempo ci si abitui per finire a dire “ma come, la fanno dappertutto?”, sarà difficile salvarsi da queste tecnologie che ormai si diffondono a macchia d’olio. L’unica risorsa è la possibilità di educare la coscienza».