Bimbo abbandonato dopo la fecondazione: quanti sono?
Una coppia dell'Emilia Romagna abbandona il figlio avuto tramite fecondazione artificiale e nato prematuro. Il caso non è isolato e anche se il Corriere della Sera parla di amore è chiaro che la Pma legale ha diffuso una mentalità distorta anche in chi non la pratica. Una mentalità che rende tutti più infelici. Ma c'è un'alternativa...
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Si ostina a chiamarlo amore il Corriere della Sera, come se la determinazione fosse un suo sinonimo. Sì, perché quei genitori hanno speso soldi e fatto salti mortali per ottenere un figlio in provetta che naturalmente non arrivava. E si ostina a parlare di amore folle, nonostante la storia che si racconta sia quella di una coppia facoltosa dell'Emilia Romagna che di fronte alla prematurità di un piccolo (rischio maggiore quando i figli si producono in maniera innaturale) con possibili problemi futuri abbia deciso di abbandonare il “prodotto” difettoso. Tutto, ovviamente, in nome del politicamente corretto che vieta ogni giudizio («di fatto - si legge - lo abbandonano in ospedale in un travaglio emotivo impossibile solo da immaginare, figurarsi giudicare»).
Anche noi non vogliamo giudicare i cuori, non sapendo cosa abbia portato queste persone a scegliere due mali come la fecondazione e l'abbandono di un figlio, ma i loro gesti vanno giudicati sì, soprattutto se sono errati, se non vogliamo che si ripetano e se desideriamo combattere la mentalità che spinge la gente verso queste scelte nefaste.
Lo stesso Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna, spiega al Corriere che il caso non è isolato e che «a volte (i genitori, ndr) vanno addirittura all’estero per effettuare percorsi non consentiti dalla normativa italiana, ma quando il bambino non è come lo si desidera e ha seri problemi sanitari, non tutti se la sentono e sono disposti a crescerlo. Il mio compito e quello dei miei colleghi è esclusivamente, insieme alla rete degli operatori minorili, di prodigarci per individuare una nuova famiglia a questi bimbi così sfortunati». Il fenomeno è quindi diffuso anche se la stampa tende a presentare questi abbandoni come isolati.
Ma come è possibile che persone giudicate come piene d’amore perché disposte a tutto pur di avere un bebè fra le braccia poi lo scartino? È chiaro che nel momento in cui si sceglie la fecondazione si sta concependo il figlio come un diritto da ottenere in qualsiasi modo (anche se questo modo può nuocere innanzitutto a lui come ormai ammette anche la scienza): è quindi evidente che se non risponde alle proprie aspettative si sarà portati a sbarazzarsene. Se, insomma, il piccino non è un dono inaspettato che viene accolto dai genitori come qualcuno di cui prendersi cura, mettendo pertanto i suoi bisogni davanti ai propri a prezzo di piccoli o grandi sacrifici, se diventa un essere da usare per riempire i propri vuoti, allora tutto, anche l'abbandono, è ammissibile. Nulla dovrebbe più scandalizzare. Il caso della coppia emiliana fa ben capire anche il peso di allevare un bimbo che per ogni giorno della sua vita avrebbe ricordato loro che "mamma, papà sono in questa condizione difficile per colpa della vostra scelta di fabbricarmi in vitro”.
Non sappiamo dunque perché la coppia in questione abbia preso determinate decisioni, ma possiamo certo dire che la Pma legale ha diffuso una mentalità distorta in tutti quanti anche in chi non la pratica. Basti pensare alle tendenze per cui anche genitori naturali vogliono vedere i figli eccellere a tutti i costi nello sport e a scuola, occupando le ore diurne con continue attività e spendendo migliaia di dollari per garantire ai figli il sostegno necessario per superare i test di entrata nei college.
Ma da questa mentalità non scampa nemmeno chi adotta (anche se è oggettivamente più difficile che viva in chi accoglie un figlio non proprio). Infatti, seppur non esistano dati nazionali, i tribunali e le associazioni familiari legate all’adozione parlano di un numero crescente di “fallimenti adottivi” (circa il 3 per cento) per cui di fronte al bambino problematico si preferisce riconsegnarlo, con le conseguenze devastanti che possono derivare dal doppio abbandono (si pensa mai al dolore dei bambini che si sentono rifiutati e non voluti?). Certo in questo caso le prove sono enormi e magari le famiglie non sono preparate ma sicuramente il dato dice di una mentalità.
Ma allora cosa può farci cambiare pensiero? Certo fa specie, perché la vita come riuscita tipica della mentalità borghese non è stata abbattuta dalla rivoluzione sessantottina. Anzi, il ’68 ribelle è il suo vero compimento: con il desiderio che si è fatto diritto, la riuscita è diventata non più una scelta ma un’ossessione collettiva: la riuscita sul lavoro, la riuscita ad avere figli, ad averli sani, la riuscita ad essere ciò che voglio (uomo, donna, gatto, cane…). Il che porta la persona a vivere possedendo e iper-controllando la realtà, piegandola ai propri progetti. Tutto per poi crollare di fronte ad ogni ostacolo sul cammino e maledire Dio, se mai ci fosse. Ma è una vita orribile quella di un uomo che pensa che la felicità dipenda dalla sua volontà. Eppure, pochi ne scampano.
Nemmeno i cristiani sempre più influenzati dal mondo. "Metànoia", dice infatti san Paolo ai cristiani della Roma pagana. Ossia mutate radicalmente il vostro modo di pensare: «Non conformatevi a questo secolo, ma trasformatevi col rinnovamento della mente per discernere voi cosa è volontà di Dio». Che in una parola significa vivere fidandosi di Dio e chiedendo che sia fatta la Sua volontà abbandonando ogni cosa nelle Sue mani. Come scrisse don Giussani nella “Scuola di religione”: «Se l’uomo è domanda, è giusto chiedere qualunque cosa? Sì, ma con la clausola implicita che fu quella di Gesù nel Getsemani: "Però non la mia, ma la tua volontà sia fatta". La Sua volontà infatti significa la mia completezza, la mia suprema felicità». È una scelta da operare, forse anche qualcosa su cui scommettere e rischiare, provando a vedere se sia meglio vivere poggiando tutto sulla propria volontà di riuscita o se fidarsi della strada di Dio.