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GREXIT

Beretta: "Urge una ricostruzione umana della Grecia"

"L’unico modo in cui si può aiutare la Grecia è liberare le sue forze produttive. Una cosa difficilissima da fare, perché richiede il coraggio di scommettere sulla capacità delle persone di assumersi responsabilmente la gestione della loro vita. Di assistenzialismo si muore, alla lunga". Parla Simona Beretta (Università Cattolica di Milano) alla vigilia del voto al referendum greco.

Economia 04_07_2015
Grecia, coda a un bancomat e campagna per il NO

Domani è il giorno del referendum in Grecia. I cittadini sono chiamati a votare sulle condizioni poste dai grandi creditori internazionali. Accetteranno nuove misure di austerity in cambio del salvataggio dei conti pubblici? O diranno “No”, come chiede il governo Tsipras, credendo che, con questo esito, la Grecia sarà più forte al tavolo negoziale europeo? Alla vigilia dell’apertura delle urne, le immagini che arrivano da Atene ci mostrano una situazione disperata: code alle banche e nelle farmacie, scorte di cibo e medicinali, razionamento da tempi di guerra. “Non c’è bisogno di predire il futuro, per capire quali siano gli effetti del referendum e di una eventuale vittoria del ‘No’ – ci spiega la professoressa Simona Beretta, docente di Economia Internazionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – Quel che è già successo in Grecia è un segnale indicativo di quel che potrebbe essere la prosecuzione dello status quo: la permanenza di questo governo e il suo progressivo allontanamento dall’Ue. Le persone hanno manifestato chiaramente, con le loro code ai bancomat, la percezione di una sicurezza che viene meno. Bisogna ricordare che per le famiglie, anche le più povere, la certezza del valore dei loro risparmi è un elemento fondamentale per la sopravvivenza. Ed è chiaro che il valore dei risparmi verrà eroso, nel momento in cui la Grecia dovesse abbandonare il riferimento a una moneta, quale l’euro, che non produce direttamente. Quel che c’è da attendersi è un’ulteriore fuga di capitali e imprese, reso possibile dalle nuove tecnologie, verso mercati considerati più stabili”.

Anche l’Ue subirebbe un danno grave, in caso di “Grexit”?

Anche qui, i danni che abbiamo già subito sono enormi, sia da un punto di vista economico che politico. La cattiva gestione di questa crisi è ormai sotto gli occhi di tutti. Un problema locale è diventato internazionale, si è espanso, ha attraversato momenti più o meno caldi, ma ormai ha già prodotto un disastro. Da un punto di vista politico, è diventata evidente la difficoltà da parte dell’Unione a far fronte a dinamiche tutto sommato normali nelle relazioni internazionali. Perché è frequente che un paese si indebiti e non sappia più come restituire i suoi debiti. Se si guarda alla storia del Novecento, è successo a tutti i paesi europei, molti dei quali hanno optato per la presa d’atto che il debito non fosse ripagabile. Non si è stati capaci di fare per tempo questo ragionamento e molti costi sono già stati sostenuti. Non credo che si disfi l’Ue se dovesse uscire la Grecia, ma certamente non è una bella dimostrazione, sia da parte della Grecia che dell’Ue. Perché non si può andare d’accordo solo quando l’economia tira, una forte Unione dovrebbe saper gestire anche conflitti in tempo di crisi.

I tedeschi lamentano di non poter condonare il debito a un paese insolvente, che non accetta nulla in cambio, anche per una questione di principio…

Chiunque può condonare un debito. La Germania ha sofferto moltissimo, dopo la Prima Guerra Mondiale, perché non le è stato riservato alcun trattamento favorevole sul condono del debito, almeno fino alla fine degli anni ’20, quando ormai era troppo tardi. E dopo la Seconda Guerra Mondiale, praticamente tutti i suoi debiti sono stati azzerati. Alla Russia sono stati condonati i suoi debiti nel 1998. L’Argentina esiste ancora come Paese, pur avendo fatto un default dopo l’altro. Non è vero, dunque, che non si possa condonare il debito: soprattutto, in certi casi, non si possono non condonare. Soprattutto se il debitore non ha più nulla con cui pagare. E in questa fase, soprattutto, il debito greco non è ripagabile.

Grecia, campagna per il NO

Ma perché la Grecia è arrivata fino a questo punto?

Ci è arrivata come tante nostre regioni. Non è un caso molto differente da quello delle finanze pubbliche di molte nostre amministrazioni locali, dove non c’è neppure una contabilità degna di questo nome. E’ molto facile comportarsi male, per chi ha il potere di spendere senza avere l’onere di raccogliere le tasse. E la Grecia è un paese che si è comportato così: negli anni in cui ha potuto spendere senza alcun vincolo, ha speso allegramente. L’entrata nell’euro ha comportato un drastico calo dei tassi di interesse sul debito pubblico, dunque una grande facilità a emettere debito, dunque un grande incentivo politico a spendere. La Grecia ha giocato sporco con la contabilità nazionale, ma non è un caso unico, appunto, e non mi pare che vi siano molti paesi in Europa che brillino per trasparenza e nitidezza. Dove le regole non sono più che strette, i comportamenti opportunistici sono la norma.

Aiutando la Grecia, a questo punto, non è un incoraggiamento delle politiche più irresponsabili?

Un conto è prendere atto dell’oggettiva impossibilità di riscuotere e dunque procedere a forme (il più possibile ordinate) di riduzione del debito greco. Un’altra cosa, invece, è lanciare il segnale che un comportamento di questo genere non sarà più tollerato per il futuro. Ma su questo si deve essere chiari sin da subito: se c’è un grande debitore, vuol dire anche che c’è qualcuno che gli ha dato credito. E’ inutile prendersela con la sola Grecia, che ha venduto troppo debito pubblico, è responsabile anche chi lo ha comprato, pur sapendo che in quel paese il 70% dell’occupazione è costituita da pubblico impiego, che manca una struttura produttiva sufficientemente forte, ecc… L’unico modo in cui si può aiutare la Grecia è liberare le sue forze produttive. Una cosa difficilissima da fare, perché richiede il coraggio di scommettere sulla capacità delle persone di assumersi responsabilmente la gestione della loro vita. Di assistenzialismo si muore, alla lunga.

Pur nel pieno della crisi, però, i greci sembrano voler ancora più assistenzialismo, votando Tsipras. Ne potranno mai uscire?

Dalle malattie si guarisce. Nel percorso di guarigione si subiscono sofferenze immani, ma prima o poi se ne esce. Non credo ci siano anni facili per la Grecia, d’ora in avanti, si deve ricostruire tutto. Ma lo si deve fare su un tessuto umano che non è, almeno si spera, completamente devastato. E stiamo parlando di una cultura pluri-millenaria, con risorse umane che non possono non esserci, perché ogni bambino che viene sulla terra ha il suo patrimonio di desiderio di bellezza, giustizia e verità che deve essere solo lasciato libero di esprimersi e che a tempo debito produrrà i suoi risultati. Si deve ripartire dalla realtà, riorganizzare la società partendo dalle basi della vita in comune. Io non c’ero alla fine degli anni ’40, in Italia, ma mi sento di dire che in quegli anni in cui le condizioni di difficoltà erano immensamente più grandi, si è trovata comunque la forza e l’entusiasmo necessari per ricostruire tutto. E’ questo entusiasmo che fa guarire anche dalla malattia di un sistema economico iper-assistenzialista.

Un possibile default può dare una scossa positiva ai greci o costituire un ostacolo ulteriore?

Ho l’impressione che renda più costoso il tutto. Il futuro non è prevedibile, se non nella direzione di lungo termine. Nel lungo termine, come la storia ci mostra, nessun paese è rimasto nel disordine economico per tanto tempo. L’uscita dal caos, in alcuni paesi, è avvenuta con una buona ricostruzione, in altri con una deriva autoritaria. Spero che non sia quest’ultima la sorte che toccherà anche alla Grecia, ma è possibile. Lo abbiamo visto nella repubblica di Weimar che ha lasciato il posto al regime nazista, poi nei paesi latino-americani colpiti da iper-inflazione che sono diventati tutti dittature, o la crisi della Russia del 1998 da cui è uscita solo con un forte autoritarismo. La storia registra anche svolte dolorosissime, purtroppo.