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ROMA 30 GENNAIO

Benvenuti i politici al Family day. Ma non dovrebbero manifestare in Parlamento?

Ci saranno anche loro, parlamentari di destra, sinistra e centro, sabato al Circo Massimo per il Family day: una folta pattuglia di parlamentari cattolici di vari partiti. Bene e bravi, ma questi parlamentari si sono battuti anche in Parlamento?LA COMUNITA' DI DON BENZI: ANCHE NOI CI SAREMO di L. Bertocchi

Famiglia 27_01_2016
Diversi parlamentari parteciperanno al Family day

Si presta a una duplice lettura la notizia della probabile presenza, sabato in piazza a Roma per il Family day, di una folta pattuglia di parlamentari cattolici di vari partiti, a sostegno della famiglia naturale. Pare siano oltre 140, tra quelli di Area popolare, i forzisti, i cattolici dem, i leghisti e i rappresentanti di Fratelli d’Italia. Da una parte, il gesto denoterebbe coerenza e coraggio. La fedeltà al proprio patrimonio di valori va manifestata “coram populo” e, quindi, quale migliore occasione di un raduno di piazza, con tutte le anime che compongono il mondo cattolico ma anche l’arcipelago dell’associazionismo socio-culturale che si rifà all’antropologia cristiana?

Dall’altra, però, la scelta di un numero così elevato di parlamentari che decidono di scendere in piazza in difesa della famiglia naturale deve fare un tantino riflettere. Ma questi parlamentari si sono effettivamente battuti anche in Parlamento affinché il disegno di legge Cirinnà non avesse vita facile e non arrivasse li’ li’ per diventare legge? Per loro, l’attività principale è quella parlamentare, mentre la testimonianza in piazza dovrebbe essere un puro completamento del proprio lavoro, nell’ottica di un dialogo e di un trasparente rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Eppure nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama non si sono visti tantissimi parlamentari stracciarsi le vesti per difendere la famiglia naturale, né tanto meno si sono visti ministri o esponenti del Nuovo centrodestra minacciare l’uscita dal governo qualora Renzi e i suoi avessero marciato compatti sulla linea Cirinnà.

Invece ieri i senatori Pd hanno trovato la quadra e confermano, almeno a parole, la loro unità sul disegno di legge sulle unioni civili, che si impegnano a votare in modo coeso. Ci saranno certamente distinguo su alcuni emendamenti, in particolare quelli sulle adozioni, ma tra i dem non ci sono posizioni che possano lasciar presagire un’effettiva presa di distanza dalla linea governativa. Tanto più che Renzi ha accelerato sui diritti civili proprio per ricompattare la sinistra e ammansire i grillini dopo le tensioni degli ultimi mesi. 

Se per Palazzo Chigi il testo Cirinnà dovrebbe quindi diventare la zattera di salvataggio della coalizione di centrosinistra (più sinistra che centro, viste le componenti di quell’area), per il Nuovo centrodestra dovrebbe essere il punto di rottura con un esecutivo che dimostra insensibilità verso le istanze del mondo cattolico e anche di quel mondo laico che rifiuta con sdegno l’ipotesi di equiparazione tra matrimonio e altre forme di unione e quella dell’adozione dei figli del convivente.

Osservando, però, i comportamenti dei parlamentari centristi, sembrerebbe che questo sussulto di dignità ci sia solo in piazza, non nelle aule parlamentari. Molti di loro, per ignavia o per calcoli convenientistici, hanno chiuso un occhio o forse entrambi di fronte allo scempio che sta per compiersi in Parlamento in materia di diritti civili e ora, forse presi dal rimorso, oppure sollecitati dalle ripetute e perentorie prese di posizione del Vaticano (per bocca di Bagnasco e Ruini), guardano alla propria partecipazione al Family Day come alla via d’uscita da una situazione imbarazzante. A parole, quindi, lanciano moniti pressanti affinché non trionfi la logica della completa mercificazione della maternità e dei figli, cosa inevitabile se passasse il testo integrale del ddl Cirinnà, ma nei fatti se ne guardano bene dal far dipendere la loro permanenza in maggioranza dall’approvazione di quella legge.

Peraltro, va detto che esistono anche probabili vizi di costituzionalità di quel disegno di legge, come rileva Carlo Giovanardi. «Da una parte», scrive l’esponente cattolico in un comunicato, «la Corte Costituzionale, con sentenza n. 32 del 2014, ha, come è noto, dichiarato incostituzionale la cosiddetta legge Fini-Giovanardi per un vizio di natura procedurale poiché essa avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex art. 72 Cost. Il disegno di legge che vede come prima firmataria Cirinnà, in discussione il 28 gennaio in Aula al Senato è stato comunicato alla Presidenza il 6 ottobre 2015, assegnato alla Commissione giustizia il giorno 7 ottobre illustrato in seduta notturna il 12 ottobre in Commissione Giustizia del Senato dalla senatrici Cirinnà, lo stesso giorno nominata relatrice, sulla quale nessun Senatore benché iscrittosi a parlare  è potuto intervenire, il 13 ottobre inserito  dai capigruppo nell'ordine del giorno del 14 ottobre, data in cui è iniziata in Aula la discussione esautorando così la Commissione da ogni ruolo. Ora, secondo quanto stabilito dall'art. 72 della Costituzione richiamato dalla sentenza  n. 32 della Corte Costituzionale del 2014, ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. Se la Corte Costituzionale ha ritenuto frettolosa l'approvazione della legge Fini Giovanardi, perché avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge ex art. 72 della Costituzione, è certo che il disegno di legge Cirinnà, che ha saltato totalmente l'esame in commissione, previsto dall'art. 72, non potrà che essere dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte stessa se l'Aula del Senato non avrà il buon senso di rinviarlo in Commissione, come richiesto da una nostra pregiudiziale».

Molto più pertinenti queste argomentazioni rispetto all’atteggiamento pilatesco del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che per salvare capra e cavoli, poltrone al governo e faccia di fronte al mondo cattolico, annuncia di aver già messo in conto un referendum abrogativo della legge Cirinnà, ove venisse approvata. Ma non sarebbe più utile minacciare l’uscita dal governo in caso di approvazione di quella legge e combattere in Parlamento quella battaglia senza preoccuparsi di scontentare il premier e i dem?