L'EDITORIALE
Benedetto XVI, un Papa in missione per conto di Dio
Inizia oggi il settimo anno di pontificato, vissuto nella testimonianza che è il Signore a guidare la Chiesa nonostante la nostra piccolezza e miseria.
Editoriali
19_04_2011
Oggi Benedetto XVI, che sabato scorso ha compiuto 84 anni, entra nel settimo anno del suo pontificato. Quando quel 19 aprile 2005 il cardinale Joseph Ratzinger, pronunciando la parola «accepto» divenne il nuovo Papa, accompagnò la sua accettazione con poche parole, per spiegare il perché del nome Benedetto. Parlò del legame che lo univa al santo patrono d’Europa, ma anche della figura dell’ultimo suo predecessore che si era chiamato così, Benedetto XV (1914-1922), facendo un’allusione sia all’impegno di quel Pontefice per la pace, sia alla durata non lunga del suo pontificato.
Quello di Papa Ratzinger, eletto quando aveva appena compiuto 78 anni, è stato presentato nel 2005 come un pontificato di transizione. Ma ciò che ha compiuto fino ad ora, più e prima ancora della durata cronologica, ci dicono che quella interpretazione non fosse vera.
Benedetto XVI, iniziando il suo pontificato, chiese preghiere per avere la forza di non fuggire «davanti ai lupi». Disse che voleva far risplendere la luce di Cristo, non la propria luce.
In questi primi sei anni di pontificato ha pubblicato tre encicliche, ha annunciato il cristianesimo come incontro con la bellezza che salva, ha invitato a non contrapporre fede e ragione, ha richiamato l’uomo a non credersi Dio, a non manipolare la vita. Ha invitato la Chiesa, ferita da scandali e sporcizie, a fare penitenza e alla purificazione. Si è presentato al mondo per ciò che è, senza tacere le proprie fragilità, ma dimostrando una grande forza e decisione nell’affrontare gli abusi sessuali che vedono coinvolti esponenti del clero. Ha avuto il coraggio di affermare che la più grande persecuzione per la Chiesa non arriva dall’esterno, ma dal peccato dentro la Chiesa. Ha seguito, da «umile lavoratore della vigna del Signore» le orme del suo predecessore, girando anche lui (che si ipotizzava non volesse viaggiare) in lungo e in largo per il mondo. Si è fatto conoscere, facendo cadere il cliché negativo e le caricature che gli erano state interessatamente affibbiate addosso.
Ma soprattutto, con il suo esempio e con le sue omelie, ha richiamato continuamente tutti noi a guardare alla Chiesa non come il frutto di nostri progetti, proiezione di nostre strategie, esito delle nostre azioni. Ci ha richiamato e ci richiama sempre a considerare che la Chiesa è la «Sua» Chiesa (non del Papa, ma di Gesù) e che è lui – non il Papa – a condurla. Per questo, nonostante le fragilità umane dei suoi membri, così evidenti negli ultimi tempi – possiamo ancora una volta far nostra la frase che il cardinale Ercole Consalvi, Segretario di Stato di Pio VII, disse rispondendo a un ambasciatore che gli aveva appena detto: «Eminenza, Napoleone vuole distruggere la Chiesa!». «Non ci riuscirà. – rispose Consalvi – Non ci siamo riusciti nemmeno noi…». Proprio questa frase, così profondamente cristiana, citò l’allora cardinale Ratzinger nel 2000, presentando la purificazione della memoria voluta da Giovanni Paolo II per il Giubileo.
La consapevolezza che è il Signore della storia a condurre la partita, che è Lui a guidare la Chiesa, nonostante (e anche attraverso) la nostra piccolezza e miseria, rappresenta una delle grandi testimonianze di questo Papa che non sta fuggendo davanti ai lupi perché sa bene di non essere mai solo.
Auguri, Santità, da tutti noi de La Bussola quotidiana.