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IL FILM

Belfast, la difficoltà di vivere nell'incertezza

Belfast, film in cui Branagh ritorna alla sua infanzia a Belfast, lacerata dall'inizio della guerra civile nordirlandese (The Troubles). Una lezione di vita, contro la violenza, ma soprattutto per non dimenticare le proprie radici. Branagh torna al suo passato perché ha provato sulla sua pelle la difficoltà di vivere nell'incertezza. 

Cinema e tv 22_03_2022
Belfast (foto storica)

Guardare Belfast in questi giorni sconvolgenti di guerra in Ucraina suscita un grido d’allarme lucido e commovente di fronte alle impreviste e sconcertanti certezze di quell’Europa che ritiene, dopo le pesanti sanzioni alla Russia come prima risposta all’invasione, di avere il diritto, se non addirittura il dovere, di usare la forza inviando armi a Kiev. Rinunciando alla possibilità di una mediazione diplomatica finalizzata alla cessazione delle ostilità. Kenneth Branagh, nato proprio a Belfast nel 1960, nel  film da lui scritto e diretto in modo magistrale ci dice ben altro e per di più con la potenza dello sguardo di un bambino, Buddy, che appartiene a un popolo, quello irlandese, abituato alla sofferenza, alla fame e all’esilio. La storia di Buddy, ragazzino di 9 anni, sveglio, vivace e molto amato da genitori e nonni, inizia con la sua vita povera ma spensierata nelle strade di un quartiere operaio di Belfast, dove tutti si conoscono e partecipano a una vivace e serena esistenza comune. Purtroppo le difficoltà economiche insinuano gelosie e rancori tra cattolici e protestanti, che prima convivevano tranquillamente. E cominciano i primi episodi di violenza.

Ciò che impressiona di più è che Kenneth Branagh, protestante, guarda con diffidenza proprio l’atteggiamento prepotente della sua parte, che inizialmente si limitava solo ad irridere i cattolici, magari per la “scappatoia” della confessione: puoi comportarti come vuoi, tanto poi… il sacramento cancella tutto con un colpo di spugna. Purtroppo in breve tempo cominciano i pestaggi, gli incendi, i lanci delle molotov che infrangono i vetri delle case; bisogna erigere delle barricate improvvisate per proteggere le strade dove famiglie cattoliche e protestanti avevano rapporti cordiali da sempre. Buddy, con gli occhi sgranati, si chiede chi sono i buoni e chi sono i cattivi e quale via bisogna scegliere, anche se la ferma educazione ricevuta dai genitori su questo punto è molto chiara: tutti devono essere rispettati, non ci si deve  schierare di qua o di là (“non c’è una parte nostra e una parte loro della strada”, afferma con sicurezza il padre), né è concesso mai scegliere la scorciatoia della violenza. Del resto nel bambino matura spontaneamente una grande simpatia per una compagna di scuola cattolica, Catherine, bionda e carina, e i nonni lo aiutano a guardare al suo infantile desiderio di felicità con speranza e ottimismo.  

Sono gli stessi affettuosi nonni ad accompagnare il ragazzino anche a godere della vita, pur nelle difficoltà crescenti, andando al cinema (e qui le immagini non sono nel nitido bianco e nero di tutta la pellicola, ma a colori, segno della potenza dell’immaginazione regalata dagli schermi); oppure a teatro e alle gioiose e chiassose feste che gli irlandesi sanno organizzare così bene. Il regista racconta con efficacia la sua infanzia, da cui ha tratto la forza e la creatività per costruire il suo futuro da Oscar (questo film ha raccolto ben 7 nomination), unendo la tragica storia della sua terra alla vicenda personale, fino alla sofferta partenza dalla patria tanto amata. L’iniziale spensieratezza e giocosità dell’infanzia si trasforma giorno dopo giorno nella consapevolezza di una situazione straziante e crudele, una svolta imprevista che cambierà per sempre la vita dei protagonisti. Non mancano tuttavia momenti di divertita ironia e felicità autentica, anche se il padre è costretto a stare per lunghi periodi lontano per lavoro, a Londra, i nonni hanno problemi di salute legati all’età e i soldi in casa non bastano mai. In questa situazione di incertezza si affaccia timidamente la prospettiva di una vita nuova lontano da Belfast, anche per sfuggire al clima di violenza crescente, ma con tutti i timori di una emigrazione verso l’ignoto, privati della sicurezza della lingua e abbandonando usi e costumi della propria terra.

È in particolare la mamma, bella e coraggiosa, che teme di più la partenza per un mondo sconosciuto, prospettata dal marito amato ma non sempre affidabile e comunque poco presente. Il pregio della coppia però è proprio la capacità di guardare alla terribile situazione della loro città, del loro quartiere, con realismo, senza farsi illusioni, soprattutto  quando vedranno che i figli (Buddy e il fratello maggiore Will) sono inevitabilmente coinvolti nella spirale di violenza che ormai segna la convivenza civile nella capitale nordirlandese. Si discute, si litiga e si piange, ma la famiglia alla fine sceglie con coraggio un nuovo inizio, lontano dalle proprie radici. E la nonna (una splendida Judi Dench), rimasta sola dopo la morte del marito, resta a presidiare il luogo della loro memoria, invitando l’affezionatissimo nipote (lo spettacolare esordiente Jude Hill) a non voltarsi indietro. Kenneth Branagh si volta indietro oggi, a più di 60 anni, cineasta di successo e premiatissimo, dopo il tempo di riflessione concesso dal lockdown, per ripensare alla sua Belfast e a se stesso.

È ritornato al suo passato anche perché nell’infanzia ha provato sulla sua pelle “la difficoltà di vivere nell’incertezza”, vero tormento pure dei nostri tempi. E ha girato forse il suo film più bello, emozionante nella gioia e nel dolore, con al centro la famiglia che accompagna, sostiene e costruisce la propria identità. “Tu lo sai chi sei, e dovunque tu andrai e chiunque tu diventerai, questa sarà sempre la verità”, dice la nonna a Buddy che deve partire. Se non avesse lasciato la sua città natale probabilmente Branagh oggi non sarebbe quel grande regista e attore che è diventato. E noi lo ringraziamo di aver  mantenuto nel cuore la memoria della sua patria (anche se lacerata): “Non importa quanto vai lontano, ma non dimenticare mai da dove arrivi”. Grande insegnamento in tempi in cui si torna a pensare che la patria, ogni patria, possa essere difesa imbracciando le armi, strumenti di morte, anziché affidarsi innanzitutto e da subito a un dialogo franco e costruttivo tra le parti. Gesto certamente più impegnativo.