Becciu respinge le accuse: «Non sono un corrotto»
Nell'udienza di ieri Becciu ha rilasciato dichiarazioni spontanee. «Sono stato preceduto da un massacro mediatico senza precedenti. La carità non è solo organizzare cene per poveri ma è anche altro». E sulla diocesi di Ozieri: «Fiero di aver dato una mano all'ente della diocesi».
Ieri è stato il giorno di Becciu. Il prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi, imputato nella vicenda processuale legata agli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra, ha potuto dare per la prima volta la sua versione dei fatti in aula. Nella sala polifunzionale dei Musei Vaticani non c'è stato l'atteso interrogatorio del porporato sardo, rimandato al 6 aprile su richiesta del Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi.
Nell'udienza di ieri, però, Becciu ha rilasciato dichiarazioni spontanee ed ha risposto ad alcune domande del presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone. "Sono stato preceduto da un massacro mediatico senza precedenti, una campagna violenta e volgare con un'eco mondiale", ha detto il cardinale, lamentando il fatto di essere stato descritto come "un uomo corrotto, avido di soldi, sleale verso il Papa, preoccupato soltanto del benessere dei miei familiari".
Tutte accuse respinte al mittente: interrogato da Pignatone sui versamenti della Segreteria di Stato destinati alla cooperativa Spes, braccio operativo della Caritas di Ozieri, Becciu ha spiegato che quei soldi sono serviti a far ripartire dopo un incendio un panificio locale ideato dalla diocesi e a dare avvio ai lavori della Cittadella della Carità, iniziati un mese fa.
L'attività di inclusione sociale dava lavoro a diverse persone del posto, un aspetto rivendicato dal cardinale che ci ha tenuto a dire come "la carità non è solo organizzare cene per poveri ma è anche altro". Una difesa che ripete quanto già detto a novembre nel convegno della Caritas di Ozieri, durante il quale Becciu si era detto "fiero" di aver dato una mano all'ente della diocesi.
Non ci sono nuovi elementi, invece, sul ruolo di Cecilia Marogna, anch'essa rinviata a giudizio nel processo sulla gestione dei fondi e legata da un rapporto di fiducia con l'allora Sostituto che firmò su carta intestata una lettera in cui la presentava come fornitrice di "servizio professionale come analista geopolitico e consulente relazioni esterne per la Segreteria di Stato – Sezione Affari Generali". La donna ha ammesso di aver incassato circa 500mila euro dal Vaticano per consulenze che sono finite nel mirino dei pm.
Nelle precedenti udienze, i legali di Marogna avevano sollevato il vincolo di segretezza appellandosi non solo alla Segreteria di Stato, ma persino al Governo italiano e alla Nato. Ironicamente, il presidente Pignatone aveva risposto che poteva chiedere chiarimenti alla Segreteria di Stato, mentre la Nato non rientrava nelle sue competenze e gli sembrava "in altre faccende affaccendata" in questo momento.
Ieri, sollecitato dal presidente del Tribunale sull'opportunità di considerare valido o meno il segreto pontificio precedentemente stabilito relativo alle vicende che hanno visto il coinvolgimento della signora Marogna, il prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi ha detto di essere propenso a confermarlo ma di essere comunque disposto ad accettare la decisione delle autorità.
Dunque, non si è propriamente rifiutato di rispondere appellandosi al segreto pontificio, come è stato scritto da qualche parte, ma ha dato la sua disponibilità a parlare una volta che la Segreteria di Stato avrà preso la sua decisione. ll Tribunale ha così deciso di richiedere "le necessarie informazioni alla Segreteria di Stato al fine di verificare la sussistenza e l'attualità del segreto in ordine ai fatti" contestati nel processo.
Nelle prossime udienze verranno interrogati anche gli altri imputati, tranne il broker Gianluigi Torzi che ha respinto la convocazione del Tribunale vaticano chiedendo di essere sentito in videoconferenza. Una richiesta respinta dal presidente Pignatone che ha sottolineato come quella risposta andasse interpretata come un rifiuto perché l'imputato non può decidere le condizioni per essere ascoltato. L'appuntamento più atteso, ora, sarà quello del 6 aprile con l'interrogatorio del cardinale Becciu che si troverà a dover rispondere di tutte le accuse mossegli nell'indagine dal Promotore di giustizia.