Becciu a giudizio: accuse pesanti ma lui si proclama vittima
Peculato, abuso d'ufficio e subornazione: questi i capi d'accusa con cui il cardinale Becciu è stato rinviato a giudizio sia per il noto investimento immobiliare a Londra sia per i soldi versati alla società di Cecilia Marogna. È la prima volta che un cardinale è giudicato da laici.
Un cardinale alla sbarra, giudicato da laici. È il primo effetto del Motu Proprio con cui Papa Francesco ha modificato l'ordinamento giudiziario vaticano stabilendo che i porporati, qualora rinviati a giudizio, non siano più giudicati da una Corte di Cassazione guidata da un loro confratello. E così sarà Giuseppe Pignatone, l'ex procuratore capo di Roma ed ora presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, a decidere le sorti giudiziarie del cardinale Giovanni Angelo Becciu insieme a quelle di altri nove indagati.
All'ex sostituto della Segreteria di Stato sono stati contestati i reati di peculato ed abuso d’ufficio anche in concorso, nonché di subornazione. Il suo nome, hanno spiegato i magistrati vaticani, è comparso nell'ambito dell'inchiesta sull'ormai noto investimento finanziario a Londra. Il promotore Gian Piero Milano, l'aggiunto Alessandro Diddi e l'applicato Gianluca Perone hanno scritto nella richiesta di citazione che "la figura di Becciu per un lungo tratto rimasta estranea al focus delle indagini, si è palesata improvvisamente e inaspettatamente, a fine maggio 2020, pochi giorni prima dell'interrogatorio di Torzi attraverso una manovra che questo Ufficio, anche alla luce degli accertamenti svolti, non esita a definire come un tentativo di pesante depistaggio".
Quando il bubbone del palazzo di Sloane Avenue era già scoppiato, poco prima dell'interrogatorio del broker molisano che si sarebbe concluso con il suo arresto, sarebbero arrivate due offerte di riacquisto che secondo i pm pervenivano proprio "dai due principali protagonisti (Torzi e Mincione, ndr) dell'opera di depredazione delle finanze dello Stato, ma erano entrambe legate da un fattore comune costituito dall'essere state promosse da Becciu".
Dall'affaire londinese, però, gli inquirenti sono arrivati a contestare anche altro al prefetto emerito della Congregazione per le cause dei santi: nella lista dei rinviati a giudizio, infatti, compare Cecilia Marogna a cui la Segreteria di Stato avrebbe versato 575mila euro sui conti della società slovena a lei riferibile, la Logsic Humanitarne Dejavnosti, e che secondo i pm sarebbero stati sottratti "per proprio profitto e vantaggio" con 120 pagamenti in negozi, hotel e ristoranti di lusso. La donna, arrestata a Milano lo scorso ottobre dalla Guardia di Finanza su mandato di cattura dell’autorità giudiziaria della Santa Sede e rilasciata venti giorni dopo, era stata incaricata nel 2017 di svolgere "servizio professionale come analista geopolitico e consulente relazioni esterne" su nomina di fiducia dell'allora sostituto, pur avendo successivamente confessato alla trasmissione Report di non avere alle spalle alcuna formazione in relazioni internazionali e di essere arrivata a ricoprire quel ruolo da "autodidatta".
In questa vicenda e non solo, il grande accusatore del cardinale sembra essere stato il suo ex collaboratore monsignor Alberto Perlasca, all'epoca dei fatti contestati responsabile dell'ufficio amministrativo della Segreteria di Stato e tra i primi indagati dai pm vaticani per appropriazione indebita, corruzione e abuso di potere. Sembrerebbe essere stato un racconto del prelato comasco, infatti, ad aver fatto scattare anche la contestazione di subornazione contro Becciu che, secondo i pm, si sarebbe rivolto al vescovo della diocesi di Como per mettere in guardia Perlasca dal rischio di "condanne per falsa testimonianza".
A sorpresa, il nome dell'ex responsabile dell'Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato non è comparso nella lista di coloro che sono stati rinviati a giudizio. Tra gli ex 'interni' ci sono, invece, l'ex segretario personale di Becciu, monsignor Mauro Carlino (estorsione e abuso di ufficio), il manager Enrico Crasso (peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio ed autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata), l'ex funzionario Fabrizio Tirabassi (corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d'ufficio), l'ex direttore dell'Aif Tommaso Di Ruzza (peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d'ufficio). Finiranno a processo, inoltre, anche i broker dell'operazione londinese Raffaele Mincione (peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio) e Gianluigi Torzi (estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio) e l'avvocato Nicola Squillace (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio).
Citazione a giudizio anche per René Brülhart, l'ex numero uno dell'authority finanziaria della Santa Sede a cui il Papa aveva deciso di non rinnovare il mandato dopo un comunicato in cui l'allora presidente si era schierato dalla parte del suo direttore Di Ruzza, confermandogli la fiducia e sconfessando di fatto l'operato della magistratura.
Fino ad oggi non si aveva alcuna notizia di un suo coinvolgimento delle indagini sull'operazione londinese al punto che nel maggio del 2019 l'allora direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, aveva voluto precisare - smentendo alcune voci circolate - che Brülhart non era "accusato o soggetto ad alcun procedimento penale, né direttamente né indirettamente, in Svizzera o in altri Paesi" e che "non avendo un ruolo esecutivo, nella sua funzione non è coinvolto nelle attività operative di vigilanza e di intelligence finanziaria".
L'altra sorpresa è l'assenza di monsignor Perlasca nella lista dei rinviati a giudizio: secondo gli inquirenti, nei confronti del prelato comasco, che avrebbe iniziato a collaborare con le indagini e dal cui telefono sarebbero state tratte le conversazioni dove il cardinale Becciu gli avrebbe sollecitato l'invio dei pagamenti alla Logsic di Marogna per un presunto ruolo di mediazione al fine della liberazione di una suora colombiana rapita (probabilmente suor Gloria Cecilia Narvaez, ancora oggi nelle mani dei jihadisti dopo 4 anni e mezzo), "non sono emersi elementi per sostenere che il comportamento sia stato improntato a infedeltà e ispirato alla realizzazione di interessi personali".
Le quasi cinquecento pagine redatte dall’Ufficio del Promotore di Giustizia non sono tenere con l'ex potentissimo sostituto della Segreteria di Stato che però, attraverso un comunicato stampa affidato al suo avvocato, ha espresso soddisfazione per l'imminente inizio del processo (il 27 luglio, ma potrebbe esserci un rinvio su richiesta dei legali degli imputati) dicendosi convinto che "sta arrivando il momento del chiarimento, ed il Tribunale potrà riscontrare l’assoluta falsità delle accuse". Quest'ultime, secondo Becciu, sarebbero alimentate da "trame oscure": il porporato sardo, infatti, si è definito "vittima di una macchinazione" ed ha lamentato di essere stato oggetto di "una gogna mediatica" senza conoscere le "eventuali accuse" mosse nei suoi confronti.
Il tempo dirà se il cardinale riuscirà a convincere della sua autoproclamata "assoluta innocenza" il presidente laico del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Intanto, la Segreteria di Stato, di cui fu la figura più importante dopo il cardinale Parolin, si costituirà parte civile nel processo che lo vedrà tra gli imputati. Una 'sentenza', nel frattempo, il porporato di Pattada è costretto a scontarla prima che si apra il processo vero e proprio in Vaticano: da quasi un anno, infatti, Papa Francesco lo ha privato dei diritti cardinalizi, dopo avergli chiesto di dimettersi dall'incarico di prefetto della Congregazione delle cause dei santi.