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OTTOCENTO DA CAPIRE/3

Baudelaire, brama di assoluto e discesa agli inferi

Come per Leopardi, anche Baudelaire ha cercato nella poesia la felicità. Ma incentrata sul viaggio, o forse sarebbe più corretto chiamarlo «fuga». Che però si traduce in una catabasi moderna, una discesa agli Inferi e un’immersione nel male che approdano in ultima istanza alla morte. Ecco profetizzato l’esito finale della sua vita. 

Cultura 02_04_2017

Due poeti incidono profondamente sulla poesia del secondo Ottocento e, più in generale, sulla poesia contemporanea: da un lato quel Leopardi che, nutrito di classicità, di filologia e di lingue antiche, in nome della vitalità, della libertà espressiva, della ricerca della felicità e della verità, approderà a poetiche del tutto nuove e mai sperimentate fino ad allora e alla creazione di una musicalità e di una libertà metrica inaspettata per quegli anni; dall’altra Baudelaire che apre nuovi orizzonti alla lirica attraverso la rottura del vietato letterario o, potremmo meglio dire, l’apertura in poesia a situazioni, personaggi ed oggetti mai prima comparsi in versi.

A Baudelaire si dovrà la diffusione della dimensione del simbolismo nella poesia successiva e, in particolar modo, nel Decadentismo (si pensi a Pascoli), come pure la commistione di arte e vita che caratterizzerà il maledettismo francese come pure la Scapigliatura italiana e l’Estetismo europeo. Ma certamente le suggestioni che provengono dai due grandi monumenti della letteratura mondiale non finiscono qui.

Nato a Parigi nel 1821, proveniente da una famiglia agiata, Baudelaire perde il padre a soli sei anni. La madre si risposa con un ufficiale con cui il figlio non instaurerà mai un buon rapporto. Fin dagli anni delle scuole superiori Baudelaire inizia a coltivare la passione per la scrittura. Terminato il Liceo, frequenta locali alla moda parigini e postriboli, spendendo ingenti somme di denaro. Nel 1842 parte per un viaggio in India: è una ricerca dello spirito, lontano dal frastuono della metropoli parigina. Ammalatosi lungo il viaggio, Baudelaire non arriverà mai in India.

Riprende a spendere tanto da venir interdetto dalla famiglia. Si lega affettivamente a Jeanne Duval, soprannominata la «Venere nera», e continua a scrivere poesie che confluiscono più tardi nella raccolta Les fleurs du mal, pubblicata nel 1857. È un anno di svolta non solo per Baudelaire, ma anche per la cultura europea. Sei poesie vengono tacciate di immoralità, l’autore è sottoposto a processo. Anche dall’Italia accorrono intellettuali e poeti per assistere al processo: tra questi vi sono scrittori che faranno più tardi parte della Scapigliatura. Baudelaire è costretto a eliminare i testi incriminati dalla raccolta e a pagare una multa. Uscirà la seconda edizione nel 1861, senza le sei poesie incriminate e arricchita di altre trentacinque liriche. La terza e definitiva è pubblicata nel 1868. Ammalato già da tempo di sifilide, il poeta muore l’anno successivo, dopo l’amata Jeanne Duval, scomparsa per lo stesso male nel 1862.

Costituita da centoventisei componimenti, la raccolta Les fleurs du mal disegna la ricerca del poeta di sfuggire dal carcere dello Spleen e della noia alla ricerca di una felicità piena e di una libertà che possano compiere l’umano. Il viaggio, o forse sarebbe più corretto chiamarlo «fuga», si traduce, però, in una catabasi moderna, una discesa agli Inferi e un’immersione nel male che approdano in ultima istanza alla morte. Ecco profetizzato l’esito finale della vita di Baudelaire.

Sei sono le tappe della discesa. La prima, intitolata Spleen e ideale, sottolinea da un lato l’angoscia e il sentimento negativo dell’esistenza presenti nel poeta e dall’altro l’aspirazione all’assoluto, il desiderio di infinito. Il poeta si riconosce in un albatro che è nato per volare alto nel cielo e librarsi ad alte quote, ma che viene catturato da marinai e, goffo, è costretto a stare su una nave. L’albatro rappresenta la spaccatura che il poeta avverte in sé, la percezione di essere nato per grandi cose e di aspirare all’assoluto e la constatazione di vivere in una realtà che non soddisfa l’umana sete di felicità.

Nelle Tavole parigine Baudelaire racconta il tentativo di evasione dalla realtà tetra, ma non esistono luoghi idilliaci un cui rifugiarsi. 

La terza tappa è Il vino, un’evasione in una dimensione di ebbrezza destinata, però, a fallire e a lasciare solo tristezza. 

Nella quarta tappa, I fiori del male, Baudelaire ricerca i piaceri esagerati, sesso e droga, che si rivelano illusori e incapaci di risolvere il taedium vitae ovvero la noia dell’esistenza. 

Non resta al poeta se non la ribellione a Dio nell’invocazione a Satana, ma la ribellione non approda a nulla (è la quinta sezione della Rivolta).

Unica soluzione è La morte (sesta e ultima tappa), fuga definitiva dall’angoscia della vita. 

Al fondo colpisce vedere come, seppur così diversi, Baudelaire e Leopardi cerchino nella vita e nella poesia lo stesso obiettivo: la felicità. È la meta del resto cui anela ogni uomo. Leopardi appare, però, ben più cosciente fin da subito dell’inconsistenza delle strade illusorie che Baudelaire ha intrapreso nella sua esistenza e raccontato nei suoi versi. 

La società contemporanea sembra essere una fabbrica di assopimento dell’animo e di fughe in modi alternativi attraverso la droga, diffusa in tutte le sue forme nel mondo giovanile e anche in quello più adulto, o attraverso l’alcool, che toglie ogni inibizione e che, nel contempo, stordisce. Altre volte l’animo predilige forme di assopimento più vitali. Infatti, l’uomo, volendosi illudere di vivere e pensando che l’intensità della vita dipenda dalla quantità di attività, si riempie le giornate di occupazioni, satura ogni spazio vuoto, eliminando le occasioni per pensare e per porsi domande.

«L’animo occupato» scrive Leopardi nello Zibaldone «è distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace, o lo rivolge a quei piccoli fini della giornata (il terminare un lavoro, il provvedere ai suoi bisogni ordinari, ec. ec. ec.) giacché li considera allora come piaceri (essendo piacere tutto quello che l’anima desidera), e conseguitone uno, passa a un altro, così che è distratto da desideri maggiori, e non ha campo di affliggersi della vanità e del vuoto delle cose e la speranza di quei piccoli fini […] bastano a riempirlo, e a trattenerlo nel tempo del suo riposo». Leopardi è, però, ben cosciente dell’inganno del divertimento e dell’occupazione continua della propria giornata con mille attività. 

Il viaggio nella raccolta Les fleurs du mal è appena iniziato. La prossima volta ci addentreremo nelle poesie più significative.