Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
VOLTAFACCIA

Battaglia di Kirkuk, i curdi usati e abbandonati

Kirkuk è caduta nelle mani dei regolari iracheni e delle milizie sciite. Dal 2014 era nelle mani dei peshmerga curdi, che l'avevano difesa dall'Isis, dopo la rotta dell'esercito iracheno. La Coalizione, che finora ha usato i curdi per combattere l'Isis, ora li abbandona e resta con le mani in mano.

Esteri 18_10_2017
Gli iracheni abbattono i simboli del dominio curdo su Kirkuk

Pressati dalle minacce di Iran e Turchia, minacciati dall’esercito di Baghdad e dalle milizie sciite e soprattutto “traditi” da americani ed europei, i curdi stanno subendo l’ennesimo smacco della loro travagliata storia.

La Coalizione anti Isis e gli Stati Uniti, “sponsor” della causa curda in Iraq e Siria finchè avevano bisogno dei peshmerga per combattere l’Isis a Kirkuk, Sinjar e Kobane o per frenare l’avanzata delle truppe siriane e russe a Deir Ezzor, restano neutrali nello scontro che oppone Baghdad a Erbil per il controllo della città petrolifera di Kirkuk. ''Le forze della Coalizione non stanno sostenendo le attività del governo dell'Iraq o del governo regionale del Kurdistan vicino a Kirkuk” recitava lunedì un comunicato che cercava di minimizzare gli scontri tra iracheni e curdi definendoli “malintesi” e invitando i duellanti a “restare concentrare sulla sconfitta del nostro comune nemico, lo Stato Islamico in Iraq''. Infatti lo Stato islamico cerca già di trarre vantaggio dalla ritirata dei peshmerga e ha nuovamente occupato territori nel distretto di Dibis, a nord-ovest di Kirkuk.   

Anche Donald Trump ha espresso la neutralità di Washington: "Non siamo coinvolti ma non ci piace il fatto che si stanno confrontando". Senza l’appoggio di Usa ed Europa, su cui evidentemente i curdi contavano fin dall’attuazione dei referendum del settembre scorso per l’indipendenza del Kurdistan iracheno e prima ancora per l’autonomia del Rojava (Kurdistan siriano) il governo di Erbil aveva solo due scelte. Ritirarsi oppure combattere a Kirkuk una battaglia che avrebbe distrutto la città e gli impianti petroliferi, uccidendo migliaia di civili e in cui i peshmerga avrebbero certo inferto dure perdite ai governativi iracheni e miliziani sciiti ma senza nessuna speranza di vittoria contro forze numericamente così superiori. Accettare la battaglia avrebbe inoltre portato alla distruzione delle migliori forze da combattimento curde, necessarie forse domani a difendere il cuore del Kurdistan e avrebbe chiuso ogni ipotesi di futuro negoziato con Baghdad aprendo forse al rischio che l’intera regione autonoma curda possa venire invasa dalle milizie scite filo-iraniane.

Dopo una mattinata di scontri di lieve entità iniziati all’alba di lunedì, l'esercito iracheno ha preso il controllo totale della città in mano ai peshmerga dal giugno 2014, da quando le truppe irachene fuggirono di fronte all’avanzata dello Stato Islamico. La resistenza dei curdi è stata minima e il primo bilancio ufficiale riferiva di dieci morti tra i peshmerga e 27 feriti anche se dozzine di combattenti curdi risultano “dispersi” e almeno dieci sono stati decapitati dalle milizie sciite secondo la tv curda Rudaw. In poche ore le truppe regolari e le Unità di Mobilitazione Popolare filo-iraniane sono riuscite a prendere il controllo dell'aeroporto civile e militare mentre i reparti anti-terrorismo della polizia federale si sono poi spinte fino a conquistare i giacimenti di petrolio e gas, la centrale di polizia, la centrale elettrica e il depuratore. Nel pomeriggio i soldati hanno occupato anche il centro città prendendo la sede del governatorato provinciale. Quasi assente la resistenza curda che ha ritirato i propri reparti evitando lo scontro. 

Per Baghdad era prioritario assumere il controllo della regione petrolifera di Kirkuk con i suoi tre campi dai quali vengono estratti 250mila barili di petrolio al giorno, cioè il 40% dell’export petrolifero curdo, ma anche di una città che ha un terzo dei suoi 850mila abitanti di origine curda (moltissimi in fuga in queste ore verso nord) e che il governo di Erbil sognava di portare con sé verso la piena indipendenza dalla Federazione Irachena.

Il governo iracheno e soprattutto le milizie sciite sembrano voler dare una lezione ai curdi e non si sono fermati a Kirkuk ma hanno occupato anche la regione montuosa di Sinjar, da cui i peshmerga avevano faticosamente cacciato l’Isis. Anche in questo caso non è stata combattuta nessuna battaglia poiché la regione, abitata dagli yazidi, è stata evacuata dalle truppe curde prima dell’arrivo degli iracheni.

Il governo curdo di Masud Barzani ha accusato il premier iracheno, Haidar al-Abadi, di essersi rivolto ai Guardiani della rivoluzione iraniani per portare avanti "un attacco militare di ampia portata" e ha accusato il partito dell'Unione patriottica curda (UPK) di aver tradito la causa aprendo le porte ai soldati iracheni con il ritiro dei propri combattenti dagli avamposti a sud di Kirkuk fin dalle prime ore del mattino di lunedì. Tradimenti presenti anche nelle operazioni a Sinjar dove miliziani yazidi hanno aderito alle forze scite nonostante i curdi avessero accolto la loro popolazione in fuga dall’Isis e poi liberato le loro case dai jihadisti. Il comando centrale dei peshmerga ha promesso "di fare pagare un caro prezzo a Baghdad" per l'invasione aggiungendo che l'attacco a Kirkuk, "condotto da forze irachene e milizie addestrate dall'Iran equivale a una dichiarazione di guerra contro il Kurdistan".

In appoggio a Baghdad, la Turchia ha chiuso lo spazio aereo a tutti i voli da e per Erbil e il Kurdistan "D'ora in poi nessun aereo potrà volare verso gli aeroporti del governo regionale del nord dell'Iraq e da lì nessun aereo potrà usare lo spazio aereo turco", ha detto il vice premier e portavoce del governo di Ankara, Bekir Bozdag. Sottrarre territorio, risorse petrolifere e collegamenti internazionali al Kurdistan iracheno rappresenta la carta migliore in mano a Baghdad e ai suoi alleati turchi e iraniani per comprometterne l’esistenza scongiurando il rischio che proclami la piena indipendenza, soprattutto ora che le forze politiche curde sono divise anche al loro interno.