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EUROGRUPPO

Bastano 7 miliardi per salvare Atene?

Niente è andato come ci si sarebbe aspettati. Dopo il referendum greco, in cui la maggioranza ha detto "No" alle condizioni dei creditori internazionali, l'Ue non ha sbattuto la porta in faccia ad Atene e il governo Tsipras non ha portato nuove proposte al tavolo negoziale dell'Eurogruppo. Ma pare abbia chiesto 7 miliardi "entro 48 ore"...

Economia 08_07_2015
Euclide Tsakalotos (al centro)

Niente è andato come ci si sarebbe aspettati. Dopo il referendum greco, vinto dal fronte del NO (alle condizioni poste dai creditori internazionali), l’Ue non ha chiuso la trattativa con la Grecia per nuovi aiuti. E, al tempo stesso, la Grecia non è tornata al tavolo negoziale dell’Eurogruppo con proposte più forti e vantaggiose, come aveva promesso Tsipras. In compenso il ministro delle Finanze ateniese Yanis Varoufakis è l’unico che ha mantenuto “troppo” la sua promessa: aveva annunciato le sue dimissioni in caso di vittoria del SI, ha vinto il NO e si è dimesso lo stesso, come se fosse in fuga da una tempesta in arrivo.

L’Eurogruppo, cioè la riunione dei 19 ministri delle Finanze dei paesi Ue che hanno adottato la valuta comune, si è dunque concluso con un nulla di fatto, col prolungamento, ancora per 24 ore, di uno stallo che sta durando dall’inizio dell’anno. Il nuovo ministro delle Finanze greco, Euclide Tsakalotos non ha presentato alcun piano di riforme. Ma, secondo fonti ufficiose, avrebbe chiesto “con urgenza” un prestito-ponte di 7 miliardi di euro, “entro 48 ore” per evitare che la Grecia finisca subito in bancarotta. Il referendum, dunque, finora non è stato seguito dalla marcia trionfale del governo Tsipras, pronto a porre le sue condizioni da vincitore, ma da una politica confusa, senza piani scritti, senza soluzioni apparenti e (se le fonti sono attendibili) con una nuova disperata richiesta di aiuto.

L’opinione pubblica tedesca è dell’idea di non spendere più un centesimo per aiutare un governo inaffidabile come quello greco. I tabloid popolari e i quotidiani, come il Bild, che ritrae la Merkel nei panni di Bismarck, chiedono fermezza e difesa intransigente degli interessi dei contribuenti. Le dichiarazioni governative seguono di conseguenza: “Aspettiamo con ansia le proposte del governo greco – dichiarava ieri il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble - ma senza programma non abbiamo la possibilità di aiutare la Grecia all'interno dell'Eurozona". E aggiunge: "Chi conosce i Trattati Ue sa che il taglio del debito è vietato". E il taglio del debito è proprio quel che chiede Tsipras. Angela Merkel sostiene il suo ministro affermando che, dopo questo summit di Bruxelles: “Noi oggi ci consulteremo ma non avremo ancora un quadro definitivo: dopo il più che chiaro referendum greco, non ci sono ancora le condizioni per cominciare le trattative per un programma nella cornice dell'Esm (il fondo salva-Stati, ndr)”.

Tuttavia ci sarebbe (ancora) “la volontà politica di darci un'altra possibilità”, come ha dichiarato Tsakalotos lasciando il palazzo Justus Lipsius, in cui si svolgeva la trattativa. L’idea del governo tedesco, secondo cui si dovrebbe lanciare un segnale forte, ammettendo anche l’uscita della Grecia dall’eurozona, è ancora minoritaria. Il fronte della riconciliazione è guidato dal presidente francese François Hollande, che ieri riconfermava la sua linea: “Responsabilità, solidarietà e rapidità” per arrivare ad un accordo. Sull’assenza di un piano di riforme greco, l’inquilino dell’Eliseo non è così drastico come il governo tedesco: "La Grecia ha enunciato la sua proposta all'Eurogruppo - afferma Hollande - ma deve essere precisata, completata e finalizzata". E’ il bicchiere mezzo pieno, che la Francia vuol vedere. E non solo la Francia, ma anche gli Usa, che stanno iniziando a far pressioni per giungere a un accordo purché sia: “La Grecia deve rimanere nell'Eurozona” è l’imperativo messaggio del presidente Obama nella sua telefonata ad Angela Merkel. Hollande e Obama non sono accomunati dalla stessa ideologia socialista, ma anche da un interesse politico ben visibile. Sia la potenza continentale francese che la potenza atlantica americana non vogliono che l’Europa appaia disunita, anche per motivi militari. A sostenere la stessa linea, è anche il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, assurdamente accusato di essere un “rigorista” e che ieri, al contrario, si è definito “un politico”, a cui “non si può mettere la museruola”, contrario a una visione tecnocratica dell’Europa. "Sono contro la Grexit (uscita della Grecia dall’euro, ndr) e lotterò fino alla fine per evitarla", ha spiegato ieri. E si dice "pronto a fare di tutto perché si arrivi a una soluzione nei tempi che abbiamo". Anche perché la prima ritirata di un paese membro dall’Ue porterebbe la sua firma di presidente della Commissione.

Ammettiamo, però, che una soluzione politica si trovi, che la Grecia resti a tutti i costi nell’eurozona, anche se non ha un piano di riforme, anche se ha respinto tutte le condizioni dei suoi creditori. Si salverebbe? Basterebbero quei 7 miliardi richiesti (secondo fonti ufficiose, è bene ripeterlo) per evitare la bancarotta? Non sono bastati 226 miliardi per rimettere il paese in carreggiata. L’operazione avrebbe senso se fosse la premessa di una ricostruzione, politica ed economica, della Grecia su basi nuove. Ma le riforme necessarie sono proprio quelle a cui Tsipras ha dichiarato guerra e quelle contro cui i greci hanno votato.