Basta intercettare persone non indagate! Ce lo chiede la Cedu
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Persone estranee ai fatti, solo perché telefonavano a indagati, sono state intercettate ed esposte ai media. La Cedu, su ricorso di Contrada, ritiene che sia una violazione dei diritti.
Il principio di essenzialità dell’informazione è uno di quelli maggiormente trascurati da gran parte dei giornalisti italiani. Le norme professionali e i testi deontologici raccomandano ai cronisti di pubblicare solo ciò che sia effettivamente essenziale alla completezza del racconto, evitando digressioni e sconfinamenti in ambiti non pertinenti.
Nella cronaca giudiziaria questo valore dell’essenzialità viene letteralmente fatto a pezzi perché nella pubblicazione di intercettazioni relative ad inchieste finiscono per essere violati i diritti di persone non indagate e tuttavia collegate ai protagonisti dei fatti. La loro privacy viene calpestata spessissimo, in nome di una frenetica rincorsa all’audience, attraverso il soddisfacimento della curiosità morbosa del pubblico.
Risultato: la vita di persone che non hanno fatto nulla e che si trovano coinvolte in qualche telefonata con persone indagate viene spiattellata ai quattro eventi, in spregio ai più elementari doveri di tutela della privacy, contenuti nella legislazione vigente in materia. Il problema, però, è spesso a monte, perché quelle intercettazioni, oltre che non diventare pubbliche, non dovrebbero neppure essere effettuate.
Per fortuna, come si dice in casi del genere, esiste un giudice a Berlino, in questo caso a Strasburgo, visto che la settimana scorsa la Corte europea dei diritti dell’uomo, su ricorso presentato da Bruno Contrada, ha condannato l’Italia ritenendo che l’attuale disciplina in materia di intercettazioni (art. 266 ss. c.p.p.) violi l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) del novembre 1950, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
I rilievi mossi dai giudici europei sono quindi ancora più penetranti e non si limitano a censurare l’aberrante pratica di pubblicare quelle intercettazioni. È lo stesso svolgimento di quegli ascolti ad integrare gli estremi di pesanti violazioni della riservatezza, laddove se ne ravvisi l’inutilità, oltre che l’illiceità.
Nel caso di specie, l’intercettazione e la trascrizione delle comunicazioni telefoniche di Bruno Contrada nell’ambito del procedimento sull’omicidio di Nino Agostino, in cui l’ex funzionario del Sisde non era né indagato né imputato, contrastano con il diritto europeo.
Quando, infatti, l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni sia disposta nei confronti di soggetti non sottoposti a indagini preliminari, in quanto non indiziati di essere coinvolti nel reato, viene violata la riservatezza dei diretti interessati. Tale violazione viene amplificata a dismisura dalla pubblicazione di quelle conversazioni sui giornali. Ad avviso della Corte, “l’ordinamento italiano non contempla delle garanzie adeguate ed effettive che proteggano contro il rischio di abusi le persone coinvolte in un provvedimento di intercettazione che, non essendo accusate di essere coinvolte in un reato, restino estranee al procedimento”, non essendo loro attribuita la “facoltà di adire un’autorità giudiziaria al fine di ottenere un controllo effettivo della legalità e della necessità della misura”.
Il danno a queste persone non indagate ma trascinate rovinosamente nel tritacarne mediatico-giudiziario risulta ancora più grave visto che, mentre la persona sottoposta alle indagini viene informata della conclusione delle operazioni di intercettazione e ha accesso alla documentazione rilevante, per i soggetti estranei al procedimento non è invece prevista alcuna notificazione, sicché questi potrebbero non essere mai messi al corrente del proprio coinvolgimento nelle operazioni stesse.
Un siffatto quadro normativo, concludono i giudici di Strasburgo, si presenta carente sul piano della “qualità della legge” e inidoneo a limitare l’ingerenza nella vita privata a quanto “necessario in una società democratica”.
Questa decisione della Corte europea dovrebbe stimolare due interventi nel nostro Paese: il primo di natura legislativa, volto a modificare quella parte di norma sulle intercettazioni che presta il fianco a violazioni come quella ravvisata nel caso Contrada; il secondo di natura deontologica e professionale rispetto all’ambito dell’attività giornalistica, attraverso un richiamo solenne da parte dei vertici della categoria all’osservanza dei doveri deontologici, in particolare quello dell’essenzialità dell’informazione. Il giornalista non dev’essere un passacarte delle procure ma un selezionatore attento dei particolari di una notizia, nel pieno rispetto dei diritti delle persone coinvolte, tanto più se non indagate. Due interventi di natura etica e giuridica quanto mai necessari.