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L’ANNIVERSARIO

Bartali, lo sport come scuola spirituale

Il 5 maggio di vent’anni fa moriva uno dei più grandi ciclisti di sempre, Gino Bartali. Terziario carmelitano, era un fervente cattolico. La sua figura ricorda che il ciclismo, come altri sport, è una metafora della nostra battaglia spirituale. Che può aiutare la crescita della persona, come spiegava Benedetto XVI.

Sport 05_05_2020

Nei giorni della pandemia abbiamo dovuto rinunciare a molte cose, una fra le altre è stata l’attività sportiva. Non solo fare attività sportiva, ma anche assistere all’attività sportiva, come alle partite di calcio o a gare sportive varie. Questo è stato per moltissimi italiani doloroso, in quanto lo sport è una parte importante della nostra cultura. Certo, il calcio la fa da padrone, ma ci sono anche altri sport che hanno un largo seguito, come per esempio il ciclismo.

E allora non sarà male ricordare uno dei più grandi protagonisti di questo sport, Gino Bartali (18 luglio 1914 - 5 maggio 2000) a 20 anni dalla morte. Con Fausto Coppi (15 settembre 1919 - 2 gennaio 1960) fu l’idolo delle tifoserie italiane, che si dividevano nel sostenere l’uno e l’altro campione nelle tante gare in cui si trovarono a competere. Questi due atleti furono l’oggetto di un tifo sfrenato ai tempi dell’Italia che si barcamenava tra una guerra disastrosa e una difficile ricostruzione.

Il ciclismo, come altri sport, è una metafora della nostra battaglia spirituale più feroce, quella contro noi stessi. Lo sport richiede un continuo superarci, un continuo sfidare i nostri limiti estremi. Richiede una grande disciplina e moderazione di vita. Se ci pensiamo, agli sportivi è richiesta una vita che non è dissimile da quella dei monaci, almeno per certi aspetti, con l’attenzione al cibo, allo stile di vita, alla coltivazione delle proprie capacità fisiche e interiori. Certo, sappiamo di come certi sportivi non rinuncino a godersi la vita in tanti modi, ma l’idea di fondo dello sport ha comunque, almeno in linea di principio, anche un elemento spirituale.

Benedetto XVI nel 2008 diceva: “Attraverso le attività sportive, la comunità ecclesiale contribuisce alla formazione della gioventù, fornendo un ambito adatto alla sua crescita umana e spirituale. Infatti, quando sono finalizzate allo sviluppo integrale della persona e gestite da personale qualificato e competente, le iniziative sportive si rivelano occasione proficua in cui sacerdoti, religiosi e laici possono diventare veri e propri educatori e maestri di vita dei giovani”.

Pio XII ricevette il nostro Gino Bartali, che, non dimentichiamolo, non fu solo un grande campione, ma anche un fervente cattolico. Era iscritto all’Azione Cattolica ed era terziario carmelitano. In un bell’articolo pubblicato su Aleteia nel gennaio 2020, viene proprio descritta questa dimensione di Gino Bartali: “Era, nel suo privato, un cattolico convinto – non uno di quelli che sventolano la fede per guadagnarsi qualche titolone, ma poi chissà se credono davvero. No: Bartali era un cattolico vero e fervente, come non mancavano di testimoniare ai cronisti i suoi amici e persino qualche religioso. Sicché, quando il ciclista comincia a diventar famoso (grossomodo, dopo la sua vittoria del Giro d’Italia nel ‘36), la stampa cattolica comincia a parlare di lui come del Magnifico Atleta Cristiano per eccellenza”.

Come ricordava Benedetto XVI, lo sport è stato sempre usato dalla Chiesa come mezzo per arrivare ad una formazione integrale della persona, perché la Chiesa sa che se è pericoloso il materialismo è anche pericoloso un vacuo spiritualismo. La persona integrale, come molte volte ricordava Paolo VI, è oggetto delle cure della Chiesa, che è maestra di umanità proprio perché comprende che non possiamo trasformare il mondo in un monastero, tranne per chi sceglie volontariamente di ritirarsi per una vita di preghiera più intensa. E anche questa, al di fuori dei facili stereotipi, comprende l’esigenza dell’attività fisica. Dunque, non solo ora, ma anche labora, secondo il grande insegnamento della tradizione benedettina.