Barsotti, voce potente e non decadente del nostro tempo
La figura di don Divo Barsotti (nato il 25 aprile del 1914) si staglia netta nel panorama spirituale della Chiesa del ventesimo secolo. È stata una delle voci più potenti per intepretare il nostro tempo senza consegnarsi alle decadenze che ogni epoca porta con sé. Una delle opere che scaturirono da questa ricerca intensa fu la Comunità dei Figli di Dio, una famiglia religiosa concepita però con intenti più moderni volti ad integrare le varie dimensioni della vita cristiana. Sulla Messa e sula Liturgia ha parole commoventi. Eccone alcune.
La figura di Divo Barsotti si staglia netta nel panorama spirituale della Chiesa del ventesimo secolo, gettando il suo fascio potente anche nel secolo successivo, il nostro. Nato il 25 aprile 1914 a Palaia e morto a Settignano, vicino Firenze, il 15 febbraio 2006, egli è stato una delle voci più potenti per intepretare il nostro tempo senza consegnarsi alle decadenze che ogni epoca porta con sé, ma che la nostra diffonde in modo così potente da far temere non solo se il Figlio dell’uomo al suo ritorno troverà la fede sulla terra, ma se ancora avremo memoria della storia della redenzione fra qualche decennio.
Divo Barsotti ha cercato in modo tormentato il suo posto nel suo tempo, in che modo doveva corrispondere alla sua vocazione, e una delle opere che scaturirono da questa ricerca intensa fu la Comunità dei Figli di Dio, una famiglia religiosa concepita però con intenti più moderni volti ad integrare le varie dimensioni della vita cristiana. Questa comunità, oggi presente in vari paesi, è una delle eredità più preziose di questo sacerdote, insieme alla mole enorme dei suoi scritti, libri oggi disponibili per assaporare un cristianesimo non assoggettato ai desideri del mondo, un cristianesimo che come diceva San Josemaria Escrivà de Balaguer, è nel mondo ma non è mondano.
Cristo è la vera realtà, nel pensiero di Barsotti, il mondo non è che apparenza. Per un corso di esercizi spirituali nel 1980 Il padre Barsotti diceva: “Noi ora viviamo una vita di alienazione: non solo le cose non sono presenti a noi, ma neppure fra noi siamo presenti, anzi non siamo nemmeno presenti a noi stessi. (…) Siamo mistero a noi stessi, non ci conosciamo, non ci possediamo. Nessuna presenza è possibile quaggiù; tutta la nostra vita è alienazione”. Belle parole, dense, profonde. Un poco come il linguaggio di padre Barsotti, a volte ostico e denso, a volte quasi come le acque dense e oscure, ma in cui bisogna di necessità immergersi per raggiungere le perle che sono sul fondo.
Nella stessa meditazione egli dice: “Il libro sacro, per noi cristiani, non è un libro di dottrina, ma è il libro che ci parla di Cristo, che ci fa conoscere il Cristo, che ci mette in rapporto con Lui. E più ancora che nel Vangelo, il Cristianesimo ha il suo compimento nella liturgia e nella liturgia eucaristica, dove non si fa presente per noi che Cristo Signore. E non si fa presente che in quanto ci siamo noi, perché è sempre necessaria la presenza di una persona creata perché si faccia presente il sacerdozio di Cristo; ed è sempre necessaria la presenza anche del cristiano perché ci sia anche il Cristo vittima. Non c’è mai il Cristo indipendentemente da te, non ci sei mai tu come uomo veramente redento senza di Lui”. L’importanza della liturgia, della preghiera, si può percepire visitando casa San Sergio, a Settignano, dove il padre è vissuto con la sua comunità e dove è morto, dove la preghiera ci immerge in un silenzio che non è vuoto ma pienezza, dove ancora risuonano melodie gregoriane, parole arcaiche ma sempre necessarie.
E parlando della Messa, nel 1984, ecco che ci consegna questa parole in fondo terribili, se comprese nel loro senso profondo: “Quando io nella Messa dico «Padre veramente santo», dovrei morire sull’istante se capissi qualcosa. È che non capisco nulla!… È una cosa enorme, più grande di quanto si possa immaginare, che noi, povere creature da nulla – ma fosse pure tutta la creazione, tutti gli angeli insieme – proprio noi entriamo nel movimento di amore eterno, infinito onde il Figlio unigenito si volge al Padre suo. Siamo sul piano della Trinità, non siamo sul piano della divinità una. Perché il rapporto con la divinità una è il rapporto della creatura, ma il rapporto con le Persone divine è proprio soltanto della Trinità. Noi entriamo a far parte di questo mistero. Vi entriamo a motivo dell’Incarnazione del Verbo, vi entriamo per il fatto che il Verbo, incarnandosi, ci ha assunti tutti nell’unità della sua natura umana. Ha fatto di noi tutti il suo stesso corpo e ora tutti ci coinvolge in quell’infinito movimento di amore che lo porta al Padre: «Padre veramente santo!»”.
Quali altre parole ci dicono meglio della grandezza della Messa, che fa attuale la vera e sola Presenza al cui paragone tutto è nulla? “Vivere la Messa – aveva ragione san Vincenzo Ferreri – è molto più di qualsiasi contemplazione mistica, molto più di qualsiasi esperienza mistica. Nessuna esperienza mistica può essere paragonata alla Messa. Se la viviamo! È che nessuno la vive! Nemmeno san Lorenzo da Brindisi che ci metteva quattordici ore per dirla! Ma anche dicendola così, non la si vive lo stesso. Perché è vivere la stessa vita di Dio. Ora, quando si meditano certi testi della Messa si rimane senza fiato: che cosa avviene? Avviene che Dio, il Padre, riceve il suo Figlio da me: Offerimus. «Ti offriamo, Padre santo, questa vittima». Lo si dice in tutte le preghiere eucaristiche”. Nessuno la vive, ci dice padre Barsotti. E in questo tempo in cui tanto si è parlato di Messe, torniamo a riflettere sul loro senso profondo, su quanto abbiamo smesso di vivere negli ultimi decenni perché abbiamo abbandonato la vera Presenza per donarci anima e corpo alle tentazioni dell’apparenza.