Barilla doveva prendere esempio da Dan Cathy
Dan Cathy, proprietario della catena di fast food Chick-Fil-A ha condannato il matrimonio gay. Invece di scusarsi, ha rilanciato le sue idee e finanziato associazioni cristiane. Le sue vendite, invece di calare, sono impennate. Perché Barilla non ha avuto lo stesso coraggio?
D’accordo, Guido Barilla ha fatto male a ritrattare e a dirsi pentito per la sua uscita a favore della famiglia, l’unica che esista davvero, quella composta da papà, mamma e figli. Ha fatto male a mostrarsi contrito per aver offeso la sensibilità di qualche ideologo del fronte gay. Ha fatto male per motivi di coerenza e di altri legati a principi di morale. Ma facendo i veniali di bassa lega domandiamoci: almeno il suo portafogli ci ha guadagnato? Se la coscienza piange il conto corrente ride? È stata una mossa furba e vincente sul piano del marketing? È vero che facendo dietrofront ha salvato “barilla e bucatini” oppure, rimanendo solo sul piano economico, ci ha perso dei quattrini compitando coram populo simile excusatio?
La risposta ci viene da una storia molto simile accaduta negli States. Dan Cathy, bussinessman americano proprietario della catena di fast-food Chick-Fil-A che conta 1.700 punti vendita sparsi in 38 stati, nel giugno del 2012 aveva pubblicamente affermato che «coloro che hanno la temerarietà di ridefinire il matrimonio attireranno il giudizio di Dio sulla nostra nazione». Mr Cathy non le aveva mandate di certo a dire da una parte alle lobby gay che in tutto il Paese stavano promuovendo progetti di legge volti alla legittimazione dei “matrimoni” omosessuali e dall’altra ai suoi colleghi filo-omosessualisti, come l’imprenditore Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che negli anni ha rimpinguato le casse delle organizzazioni gay con milioni di dollari.
I movimenti omosessualisti avevano allora contrattaccato in modo pesante sui media. Al confronto qui da noi gli attivisti gay vanno ancora all’asilo Mariuccia. Seguiva, come nel caso Barilla, una campagna per boicottare i suoi fast-food. Cathy però non ritratta, bensì rincara la dose sostenendo che da tempo finanzia organizzazioni cristiane che difendono il matrimonio naturale e che loro stessi continueranno ad appoggiare «programmi che educano i giovani, rafforzano le famiglie, arricchiscono i matrimoni e sostengono le comunità» evitando però di sponsorizzare «organizzazioni con intento politico».
Un kamikaze del marketing verrebbe da dire. Il giornale di settore “Business Insider” infatti aveva predetto “danni permanenti al suo brand”. Gli esperti di economia dell’ “Huffington Post” si erano poi dichiarati “esterrefatti” perché Cathy aveva combinato un vero e proprio “disastro di Pr”, cioè di pubbliche relazioni.
Ma dato che i tecnocrati con tutta la loro scienza non conoscono la povera gente e cosa davvero passa nella loro testa, ecco che nonostante le più funeree previsioni e contro ogni speranza gli affari vanno a gonfie vele, anzi meglio di prima. Infatti, secondo i dati di uno studio indipendente realizzato dalla Sandelman & Associates, nel terzo trimestre del 2012, quello successivo alle improvvide uscite di Cathy, i clienti erano aumentati del 2,2% rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso e la visibilità del marchio era salita del 6,5%. Inoltre un sondaggio realizzato tra 30mila consumatori metteva in evidenza che lo share di mercato era salito dello 0,6%. Tale risultato è anche da accreditarsi al fatto che non poche associazioni cristiane lanciarono una campagna per difendere Cathy e raccolsero 600mila adesioni.
Ma c’è un dato empirico che se vogliamo è ancora più significativo. Il primo agosto Mr Cathy organizza l’Appreciation Day: chi la pensa come lui venga nel suo ristorante. Risultato: + 29,9% di vendite in quel giorno. Gli attivisti gay rispondo con il Kiss Day: riunione davanti ai fast-food per scambiarsi baci omosex. Ai partecipanti è stato chiesto, oltre alle effusioni di affetto omoerotico, anche di devolvere il costo di un pranzo presso un Chick-Fil-A a favore della causa gay. Un dato però impossibile da misurare.
Dai fish and chips torniamo ai nostri rigatoni. Perché Guido Barilla – a cui comunque va tutta la nostra solidarietà - non si è comportato come il suo collega d’oltreoceano? Quando Barilla ha fatto la sua uscita a favore della famiglia, la pagina Facebook dell’azienda ha registrato un’impennata di 9.000 “Mi piace” in più. Ad oggi invece la pagina FB “Boicotta Barilla” e “Boicotta Barilla e Mulino Bianco” insieme hanno raccolto solo poco più di 2.100 “Mi piace” e ormai da parecchi giorni le adesioni si contano con il contagocce, poche unità al die. Insomma il vento tirava dalla sua parte.
E poi bastava un poco di sagacia. Perché non lanciare sul sito di Barilla quando si è sollevato il polverone mediatico un sondaggio tra i consumatori che suonasse più o meno così: “Ha fatto bene Guido Barilla a difendere la famiglia”? I “No” si sarebbero contati sulle dita di una mano di un falegname. Tenuto poi conto che i consumatori gay sono una fettina quasi trasparente di mercato. Forti di questo appoggio popolare, Barilla avrebbe potuto replicare che la strategia di marketing che privilegia la famiglia naturale è la risposta ad un sentito diffuso tra la gente. Insomma, cari gay, prendetevela con gli italiani e non con il sottoscritto, poteva dire il nostro.
Ed invece il buon Barilla è stato, per rimanere in tema, cucinato a fiamma alta ed è andato subito in ebollizione, lui e il suo staff. Presi da un panico strategico-imprenditoriale i plurilaureati e masterizzati bocconiani-oxfordiani non hanno trovato nulla di meglio che piangere una mea culpa su YouTube.
Il successo negli affari incassato invece dall’omologo americano è prova che al popolino mangereccio di hamburger e patatine certe sofisticate ed adulterate pietanze sfornate dalle cucine gay sono proprio indigeste. Il coraggio delle proprie idee non fa bene solo all’anima, ma a volte anche ai portafogli.