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L'AUDIZIONE DI GHIZZONI

Banche e bugie di Stato, Giglio magico a pezzi

La commissione d’inchiesta sulle banche, che nelle intenzioni di Matteo Renzi sarebbe dovuta servire a sottrarre ai Cinque Stelle il monopolio della difesa dei risparmiatori e della trasparenza nelle vicende di Etruria e degli altri istituti di credito in crisi, si sta rivelando un boomerang per il Pd.

Editoriali 21_12_2017

Un groviglio inestricabile di interessi e una trama di spregiudicate interferenze che denotano commistioni e conflitti di interesse davvero imbarazzanti. Nonostante i tentativi di minimizzazione da parte di certa stampa, i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche stanno facendo emergere un quadro molto desolante dei rapporti tra potere bancario e potere politico, in cui l’anello debole della catena appare rappresentato sempre più nitidamente dai risparmiatori.

Questi ultimi continuano a chiedersi che utilità stia avendo quella commissione d’inchiesta, che è stata fortemente voluta da Matteo Renzi e che avrebbe il compito di indagare le cause del crac di sette istituti di credito e di formulare proposte per rendere più solido il sistema. Ma a chi ha perso i risparmi di una vita depositati presso le popolari venete, il Monte dei Paschi o Banca Etruria poco interessano le cause di quei dissesti o l’attribuzione formale di responsabilità. Per i risparmiatori l’importante è sapere se quei soldi potranno un giorno riaverli. Assistere a questo rimpallo di responsabilità, reso ancora più farsesco dal clima pre-elettorale, somiglia al danno che si somma alla beffa.

Ieri, però, almeno un dato è emerso con chiarezza. L’allora ministro Maria Elena Boschi incontrò tre anni fa l’allora amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, per chiedergli "se era pensabile per Unicredit valutare un’acquisizione o un intervento su Etruria". Ghizzoni, ascoltato ieri in commissione, ha parlato di quell’incontro, definendolo “cordiale”, e ha precisato di non aver avvertito pressioni da parte della Boschi. La sua versione coincide con quella esposta da Ferruccio de Bortoli nel suo ultimo libro “Poteri forti (o quasi)”, rispetto alla quale l’attuale sottosegretario Boschi aveva minacciato querela per diffamazione (mai presentata) e ora annuncia azione civile (non ancora formalizzata). Se le parole di Ghizzoni sembrano soddisfare sia l’ex direttore del Corriere sia l’esponente del governo, chi bluffa?

L’ex ad di Unicredit ha anche aggiunto un particolare che sembra inchiodare definitivamente la Boschi e l’intero “giglio magico” alle loro responsabilità. Il 13 gennaio 2015 ricevette una mail da Marco Carrai, fidatissimo di Matteo Renzi, nella quale si sollecitava una risposta su Etruria. "La mia prima reazione – ha riferito ieri Ghizzoni in commissione - fu di chiedermi chi lo aveva sollecitato e decisi di non richiedere nessun chiarimento. Non volevo aprire altri canali di comunicazione". In seguito lo stesso rispose a Carrai in modo formale e diplomatico: "Ok ti confermo che stiamo lavorando e contatteremo i vertici di Etruria".

Chi chiese a Carrai di sollecitare? A che titolo lo fece? Si ricorda che nel consiglio d’amministrazione di quella Banca figurava Pier Luigi Boschi, padre dell’allora ministro. I vertici Pd sembrano arrampicarsi sugli specchi. "Carrai è un professionista, che non ha niente a che fare con il Pd, che opera in quel settore e conosce Ghizzoni. Mi pare normale uno scambio di corrispondenza professionale. Si interfaccia con il mondo delle imprese e del sistema finanziario", prova a stemperare Ettore Rosato, capogruppo Pd alla Camera.

Ferruccio de Bortoli, dal canto suo, ringrazia Ghizzoni per aver confermato la sua versione e non si mostra preoccupato dei proclami bellicosi della Boschi: "Sarà il Tribunale a dire l’ultima parola; credo che la penultima l’abbia già detta Ghizzoni. Nel mio libro non si parla mai di pressioni".

Ovviamente le opposizioni cavalcano l’onda e tornano a chiedere le dimissioni della Boschi, che peraltro vengono sollecitate con forza anche da Roberto Speranza e altri esponenti del neonato movimento di Pietro Grasso. I grillini con Di Alessandro Battista definiscono il “giglio magico” un “clan che ha occupato la Repubblica per affari personali”. Giorgia Meloni e Matteo Salvini, con accenti diversi, definiscono le parole di Ghizzoni “la pietra tombale sulla credibilità politica di Renzi e della Boschi” e invocano la restituzione dei soldi ai risparmiatori.

Quindi, dopo l’audizione del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che di fatto aveva alleggerito la posizione della Boschi, tirando però in ballo Matteo Renzi, è stata la volta di Ghizzoni, che ha confermato l’interessamento della Boschi alle sorti di Banca Etruria, interessamento inopportuno, oltre che negato in Parlamento dalla diretta interessata. Renzi, qualche giorno fa, aveva dichiarato che una sola volta discusse di Banca Etruria con Visco, ma che era stato il governatore a parlargliene. Ebbene, Visco ha sostenuto il contrario, cioè che era stato Renzi a chiedergli notizie e che lui non aveva risposto. E allora, anche in questo caso, chi mente?

La commissione d’inchiesta sulle banche, che nelle intenzioni di Matteo Renzi sarebbe dovuta servire a sottrarre ai Cinque Stelle il monopolio della difesa dei risparmiatori e della trasparenza nelle vicende di Etruria e degli altri istituti di credito in crisi, si sta rivelando un boomerang per il Pd. Maria Elena Boschi è ormai diventata ingombrante e sulla vicenda risaltano due reazioni, ugualmente meritevoli di essere attenzionate: la prima è quella di molti ministri ed esponenti del Pd, da Minniti a Orlando, da Franceschini a Delrio, che se ne guardano bene dal difendere la collega in difficoltà, lasciando intendere che secondo loro farebbe bene a fare un passo indietro e a non ricandidarsi; la seconda è quella dei vertici di Forza Italia, che tacciono e non si acccodano agli altri partiti del centrodestra nel chiedere le dimissioni della Boschi e nel denunciare il ruolo poco chiaro avuto da Renzi, dalla Boschi e dagli altri esponenti del “giglio magico” nelle vicende finanziarie in discussione.

C’è chi dice che i berlusconiani tacciono in quanto tra i coinvolti ci sarebbe un altro toscano, Denis Verdini. Non sappiamo se l’indiscrezione corrisponda al vero. Certo è che il silenzio azzurro alimenta più di qualche sospetto sulla presunta comune intenzione post-elettorale di Pd e Forza Italia di dar vita, in caso di pareggio, a un governo di larghe intese. Sembra quasi che i berlusconiani non vogliano infierire sui dem in difficoltà, nel timore di avvantaggiare i Cinque Stelle. Altro che i patti dal notaio chiesti da Salvini.