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IRAQ

Baghdad e curdi ai ferri corti L'Isis ringrazia

Le autorità curde lo avevano previsto e purtroppo sta avvenendo: il governo di Baghdad trattiene le armi, specie quelle pesanti, che l'Occidente invia ai combattenti curdi. Che potrebbero così rafforzare le pretese indipendentistiche. Fra un Kurdistan libero e un Iraq ridotto alle sole province sciite, non scorre buon sangue. E a guadagnarci sono gli jihadisti dello Stato Islamico.

Esteri 24_08_2014
Peshmerga

Le autorità curde lo avevano previsto. Nei giorni scorsi hanno più volte raccomandato ai Paesi occidentali che hanno accettato di fornire loro aiuti militari di far pervenire armi e munizioni direttamente a Erbil, senza farli transitare per Baghdad. Il timore è che le autorità irachene, guidate da un “monocolore” sciita impediscano l’afflusso massiccio di armi ai curdi, specie di quelle pesanti tanto più necessarie quanto potenzialmente pericolose perché in grado di alimentare le pretese indipendentistiche dei curdi.

Secondo quanto denunciato ieri da Rowsch Shaways, ex vice premier e oggi alla guida dell’offensiva dei combattenti curdi sul fronte di Mosul, il governo iracheno starebbe infatti bloccando le forniture di armi ai Peshmerga che alcuni Paesi stranieri stanno inviando per sostenere la loro lotta contro i jihadisti dello Stato Islamico (IS) nel nord del Paese. «Non abbiamo ricevuto armi dai nostri partner internazionali e la colpa è di Baghdad» ha affermato Shaways in un’intervista rilasciata all’emittente Rudaw. Le armi che alcuni paesi occidentali si sono impegnati ad inviare ai curdi transitano attraverso Baghdad, che ha la supervisione sul passaggio di equipaggiamento militare verso il governo della regione autonoma curda. Le proteste di Shaways trovano eco nelle dichiarazioni del generale Sirwan Barzani, che si trova in una base curda vicina Gwar. Anche Barzani lamenta che la sua divisione «non ha visto nessuna delle nuove armi» inviate dalle potenze occidentali per riequilibrare i rapporti di forza con l’IS. Italia, Germania e altri Paesi tergiversano ancora nel far partire i carichi di armi ai curdi ma altri, come Gran Bretagna e Stati Uniti, hanno già cominciato a inviare equipaggiamenti. In più occasioni i curdi hanno evidenziato la necessità di armi e munizioni anticarro, artiglieria, sistemi di sminamento, veicoli antimina e visori notturni.

Quanto ai rapporti con Baghdad gli sviluppi bellici degli ultimi due mesi hanno contribuito a inasprire le tensioni. I Peshmerga disprezzano i militari iracheni, fuggiti a gambe levate o passati addirittura al nemico (è il caso di molti soldati sunniti) quando è iniziata l’offensiva jihadista e non si fidano degli sciiti che governano a Baghdad. Al tempo stesso il governo iracheno lamenta che i raid americani, pur essendo per ora davvero poca cosa (meno di 100 incursioni dall’8 agosto) sono stati concentrati tutti in appoggio ai curdi nel settore di Erbil e della diga di Mosul. Nessun cacciabombardiere o drone americano è invece intervenuto per aiutare le truppe irachene e le milizie di volontari sciiti impegnato nei giorni scorsi nel fallito contrattacco su Tikrit. Secondo indiscrezioni le forze di Baghdad sono riuscite a penetrare in città ma sono state attaccate da più parti e costrette a ritirarsi in periferia nonostante i raid aerei dei Sukhoi 25, jet forniti all’aeronautica irachena da Iran e Russia che sono però privi di armi di precisione.

Gelosie, timori e rivalità tra curdi e iracheni favoriscono i jihadisti e celano gli interessi di Washington il cui blando intervento mira finora a impedire alle forze dello stato Islamico di prendere Erbil dove sono basati centinaia di diplomatici, civili, militari, contractors e agenti della Cia che in caso di disfatta dei Peshmerga rischiano tutti di fare la fine di James Foley.

Obiettivi di più ampia portata, come la distruzione dell’IS, vengono per ora solo enunciati al Pentagono, alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato ma richiederebbero un impegno militare ben più massiccio. Circa il timore della comunità internazionale che, armandosi meglio, i curdi possano puntare a rendersi indipendenti dall’Iraq, Fuad Hussein, capo del gabinetto del presidente dell’enclave autonoma curda nell’Iraq settentrionale Masoud Barzani, in un’intervista al Corriere della Sera è stato esplicito. «Non siamo noi a separarci dal governo di Baghdad» ma «tra noi e la capitale è nata un’enclave armata e pericolosa di militanti estremisti sunniti. Baghdad non solo non è stata capace di combatterla, ma soprattutto non ci ha difeso».

Sul piano militare le chiacchiere valgono ben poco. Con l’esercito iracheno, ridotto al lumicino in termini di efficienza e capacità belliche, e con un Occidente che non ha nessuna voglia di inviare i suoi soldati a combattere in Medio Oriente, l’unica speranza di sconfiggere lo Stato Islamico in Iraq è riposta attualmente nell’armare meglio e di più i Peshmerga. Invece di prendere atto di questa realtà, l’Europa per ora prende (perde) tempo. La cancelliera tedesca Angela Merkel difende la scelta di inviare armi ai curdi ma riconosce la possibilità che finiscano nelle mani sbagliate e ammette di non essere certa che questa sia la decisione giusta "al cento per cento". "Temo ci sia qualche rischio" che le armi finiscano all'IS, ha detto Merkel secondo le anticipazioni di un'intervista alla Freie Presse, ''ma dobbiamo agire''.

L’IS ha messo le mani sulle armi russe e statunitensi fornite all’Iraq e potrà impossessarsi di quelle in dotazione ai curdi solo sconfiggendoli in battaglia. A differenza dei soldati sciiti iracheni, i Peshmerga non hanno retrovie dove ritirarsi. Inoltre se gli occidentali si fossero posti questi scrupoli quando si trattò di aiutare e finanziare i ribelli siriani, oggi non ci troveremmo con le bandiere di al-Qaeda alle porte di Baghdad e Damasco. Giova ricordare infatti che i miliziani dello Stato Islamico sono entrati in Iraq in gennaio brandendo le armi acquistate con gli aiuti di Lega Araba e Occidente e che avrebbero dovuto armare quei sinceri democratici dei ribelli “moderati” siriani la cui presenza nella guerra siriana è ormai solo simbolica e ininfluente.