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GOVERNO ACCERCHIATO

Avviso di sfratto a Draghi: gli Industriali si sono stancati

È in corso una vera e propria manovra di accerchiamento nei confronti del premier, che viene puntellato e incalzato da sindacati, partiti e ora anche da Confindustria, che da sempre è stata uno dei suoi principali sponsor. Evidentemente il Pnrr non basta per rassicurare chi deve investire in attività d’impresa e non vede un futuro chiaro per il nostro Paese.

Editoriali 14_11_2021

Fin dalla Prima Repubblica si è sempre detto che per capire quanto dura un governo basta guardare a ciò che dice e fa Confindustria. L’umore degli imprenditori è la cartina al tornasole della stabilità di un esecutivo. Se è un umore entusiasta la navigazione del governo è tranquilla, se è altalenante non bisogna abbassare la guardia, se è nero bisogna correre ai ripari prima che sia troppo tardi.

Oggi, con una pandemia ancora in corso, è probabile che il futuro del governo Draghi non dipenda esclusivamente o prevalentemente da ciò che ne pensano gli industriali, ma certo è che il loro capo negli ultimi giorni ha suonato la sveglia al premier e non sarà disposto, nelle prossime settimane, a fargli sconti. Già i sindacati sono titubanti sulla manovra di bilancio. Inoltre, la principale e più consistente forza politica in Parlamento (Movimento 5 Stelle) mastica amaro per alcune decisioni economiche assunte da Palazzo Chigi. Ora anche Carlo Bonomi dichiara di vedere nubi all’orizzonte e tuona contro l’impostazione della legge di bilancio, destinata peraltro a peggiorare durante i vari passaggi parlamentari.

I partiti, infatti, sono ormai in campagna elettorale permanente, sia per l’elezione del nuovo Capo dello Stato sia per le amministrative del prossimo anno e le politiche del 2023. Non possono più accettare il commissariamento della politica e dunque stanno progressivamente incalzando il Presidente del Consiglio, che è sempre più stufo di mediare e di accettare i loro diktat. Lui non ha bisogno del consenso popolare perché è lì senza essere passato dal voto e solo per far ripartire l’economia dopo il Covid. Per le forze politiche questi 15 mesi che mancano alla fine della legislatura sono invece decisivi per la loro stessa sopravvivenza. Per ciascun partito è vietato sbagliare e concedere troppo agli avversari ed è obbligatorio recuperare i rispettivi cavalli di battaglia per poter compiacere i propri elettori, che altrimenti si volterebbero dall’altra parte.

Bonomi sente probabilmente aria di propaganda da parte dei leader di partito e alza la voce perché non esclude che Draghi possa capitolare. Più che altro, si dice deluso dalla manovra che il suo esecutivo ha preparato nelle settimane scorse. Dal palco dell’Assemblea di Federmanager, due giorni fa, il numero uno di viale dell’Astronomia anzitutto ha demolito il reddito di cittadinanza, che non ha mai amato e che definisce «un disincentivo a trovare lavoro». «Il reddito di cittadinanza va riformato perché non sta funzionando – ha aggiunto - Dal 2019 al 2021 sono stati stanziati 516 milioni ma abbiamo assunto 423 persone che ci sono dunque costate più di 400mila euro l'anno. Ora, sono felice di aver assunto 423 premi Nobel ma non è quella la strada». Parole che disconoscono la parte di “politica attiva” del reddito di cittadinanza. «E’ dimostrato – ha proseguito - non intercetta le fasce di incapienti del Nord ed è un disincentivo per andare a lavorare nel mezzogiorno d'Italia».

Ma sarebbe sbagliato interpretare queste parole di Bonomi come un semplice attacco all’assistenzialismo insito nel sussidio tanto caro ai grillini. Il disagio di Bonomi è più profondo e le sue riserve verso l’azione del governo sono fortissime: «Ho qualche preoccupazione – ha dichiarato - la legge di bilancio purtroppo mi conferma che è ripartita la battaglia delle bandierine. Questa legge dovrebbe essere l'inizio di un percorso, se guardo gli interventi mi sembra che non si sia capito che noi dobbiamo dare risposte a giovani e alle donne, le categorie che hanno scontato più di altri gli effetti della crisi e che hanno pagato un prezzo altissimo». 

Nel cahier de doléances del presidente di Confindustria ci sono anche altre misure: «Si dovrebbero dirottare più risorse su università e formazione. In dieci anni il Paese ha speso gli stessi soldi per pagare 400.000 baby-pensioni e per formare quasi 2 milioni di giovani negli atenei. Dobbiamo investire in ricerca, e cosa si fa in questa legge di bilancio? Si uccide il patent box, quel provvedimento arrivato tardi che incentivava la ricerca, di cui l’Italia aveva grande carenza e che ora viene praticamente smontato»>.

Anche sul costo del lavoro il governo Draghi, secondo Bonomi, ha preso una strada sbagliata: «Noi abbiamo costi in aumento sulle materie prime, sempre se si trovano. Non parliamo dei costi dell'energia che ci stanno mettendo in crisi, l'unico tema su cui possiamo lavorare è il costo del lavoro, qui bisogna concentrare le nostre risorse. In questa legge di bilancio io credo che un serio taglio contributivo al cuneo fiscale sia la strada dove mettere gli 8 miliardi, concentrarli tutti li' che già non sono sufficienti perché ce ne vorrebbero 13 per dare un segno tangibile e forte. Si devono mettere più soldi in tasca agli italiani e stimolare la domanda interna che è asfittica da anni».

E’ in corso, quindi, una vera e propria manovra di accerchiamento nei confronti del premier, che viene puntellato e incalzato da sindacati, partiti e ora anche da Confindustria, che da sempre è stata uno dei suoi principali sponsor. Evidentemente il Pnrr non basta per rassicurare chi deve investire in attività d’impresa e non vede un futuro chiaro per il nostro Paese. Le povertà aumentano, il disagio sociale cresce e le cifre sul rimbalzo del Pil non devono illudere perché segnalano una netta ripresa, ma a partire da livelli infinitamente bassi, quelli dei lockdown e delle restrizioni anti-Covid. Con queste premesse ci vorrà ben altro per tornare ai livelli di tre o quattro anni fa. Evidentemente ora cominciano a capirlo anche gli industriali.