Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Bruno a cura di Ermes Dovico
IL CASO

Avvenire e aborto, il fascino discreto della Legge 194

Con un riquadro legato all'articolo che dava conto della Manifestazione per la vita del 21 maggio a Roma, il quotidiano dei vescovi italiani difende la legge 194 del 1978 che in Italia ha introdotto l'aborto. E soprattutto lo fa mentendo spudoratamente su obiettivi e contenuti della legge. Un segnale inviato ai palazzi della politica ma anche agli organizzatori della manifestazione.
- ABORTO USA, LA STRATEGIA INCENDIARIA DI KAMALA, di Tommaso Scandroglio

Vita e bioetica 24_05_2022

Il segnale politico è chiaro: la Chiesa italiana – ovvero la sua gerarchia - difende la legge 194 che ha introdotto l’aborto nel 1978, ma lo fa in modo discreto, con una breve colonnina pubblicata da Avvenire (il giornale della Conferenza Episcopale Italiana, CEI) a fianco del resoconto della manifestazione per la vita svoltasi a Roma sabato 21 maggio. Il testo non è firmato, ma è chiaramente impensabile che su un tema tanto delicato possa uscire una nota del genere – molto precisa in quel che vuole comunicare - per distrazione o per l’iniziativa di un redattore disinformato o malintenzionato. E non può certo essere casuale il momento scelto, ovvero all'indomani della Manifestazione per la vita, a fianco del resoconto (neutrale) di cronaca, come a voler rassicurare qualcuno che comunque la Chiesa farà di tutto per evitare che venga messa in discussione la legge 194.

Cosa dice infatti questa nota che sotto l’etichetta “Da sapere” viene titolata “L’obiettivo della 194”? Vale la pena riportare il testo completo:

“Prima che un diritto è e resta una scelta drammatica ed estrema, quella dell’aborto. Che la legge italiana consente dal 22 maggio del 1978 nella misura in cui un bene giuridico costituzionalmente sancito – il diritto alla vita del concepito – si pone in insanabile contrasto con un altro di pari valore – la salute fisica e psichica della gestante.
Ecco il vero spirito della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, che traspare da tutto il suo testo e che tante sentenze hanno confermato nel corso degli anni.
Lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio, vi si legge nell’articolo 1. E riconosce, sì, il diritto ad abortire, ma imponendo ogni volta il tentativo di rimuovere le cause per cui esso viene chiesto e subordinandolo a procedure rigide”.

Intanto c’è da chiedersi che senso ha fare un colonnino sulla legge 194 quando questa non era a tema della Manifestazione per la vita e men che meno se ne parla nell’articolo di cronaca. Già da questo traspare la volontà di mandare un messaggio. Ma quello che è scandaloso sono la quantità di menzogne che il giornale dei vescovi riesce ad accumulare in così poche righe. Ci limitiamo a sottolineare le questioni fondamentali.

La legge italiana, ci dice Avvenire, consentirebbe l’aborto solo come soluzione di un insuperabile contrasto tra due beni giuridici (costituzionalmente sanciti) di pari valore. Falso. Intanto perché la vita non è espressamente tutelata dalla Costituzione sin dal concepimento, ma indirettamente: l’articolo 31 impone infatti la “protezione della maternità”, in quanto rientra tra gli adempimenti dei “compiti relativi” alla famiglia. Inoltre, se il problema fosse stato regolare il rapporto tra la vita del concepito e la salute della madre, la legge non sarebbe servita a nulla perché ci aveva già pensato la Corte Costituzionale tre anni prima. Con la sentenza numero 27 del 1975 la Corte aveva infatti già deciso che in questi casi a prevalere è la salute della madre.

E ancora: si vorrebbe far credere ai lettori che l’aborto in Italia è consentito soltanto in questi casi drammatici in cui si deve scegliere tra la madre e il bambino. Senonché casi del genere si possono contare ogni anno sulle dita di una sola mano, mentre dal 1978 ad oggi sono stati praticati in Italia circa 6 milioni di aborti, senza considerare che ormai tra RU486 e pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo è diventato impossibile un conteggio esatto.
In realtà l’aborto in Italia è consentito praticamente sempre nei primi 90 giorni: il rischio per la salute fisica o psichica può essere infatti relazionato allo “stato di salute” della madre, “o alle sue condizioni economiche, sociali e familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (articolo 4). E dopo i 90 giorni “quando la gravidanza e il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna” e “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6).

Ci vuole una bella dose di malafede per affermare che in Italia l’aborto sia una scelta estrema, così come nascondersi dietro al titolo della legge e all’articolo 1 che afferma come “lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. Si tratta di un chiaro specchietto per le allodole, visto che di tutela della maternità si parla soltanto all’articolo 2 della legge ed esclusivamente per blindare il sistema dei consultori statali (decisivo per diffondere la pratica dell’aborto), del cui finanziamento si parla poi all’articolo 3. Dopodiché, dall’articolo 4 al 22 (in pratica tutta la legge) si parla esclusivamente di aborto, anzi di “interruzione volontaria della gravidanza” come il linguaggio politicamente corretto prescrive. E delle previste pene pesanti per chiunque causa l’aborto al di fuori di quelle che Avvenire considera “procedure rigide”, ci sanno dire dal giornale della CEI quante ne sono state comminate in questi 44 anni?

La realtà è che il vero spirito della legge 194 è la legalizzazione dell’aborto, fondata sull’autodeterminazione della donna. Peraltro il direttore di Avvenire era allora già cresciuto abbastanza per poter ricordare in quale clima culturale e politico è stata approvata la legge 194. “Il corpo è mio e lo gestisco io” era forse uno slogan per rivendicare il valore sociale della maternità? Le migliaia di aborti illegali praticati dalle militanti radicali – Emma Bonino in testa – per spingere il Parlamento a legalizzare l’aborto, intendevano promuovere una crociata a tutela della maternità?

La risposta è ovvia. C’è solo dunque da chiedersi quale sia il vero obiettivo di Avvenire e delle gerarchie ecclesiastiche a cui risponde. Di sicuro manda un segnale rassicurante a certi poteri: lasciate pure gridare un po’ in piazza questi pro-life, non vi preoccupate, sono innocui; in Italia non accadrà come negli Stati Uniti, è la Chiesa cattolica stessa a difendere la legge sull’aborto e a spegnere sul nascere qualsiasi velleità di rimetterla in discussione.
Quindi c’è un segnale chiaro anche per gli organizzatori della Manifestazione: fate pure delle belle marce, parlate della bellezza della vita, promuovete una cultura della vita, ma restate bene dentro il recinto, non provate neanche a uscire dai confini segnati, sennò restate da soli e niente più copertura mediatica della stampa cattolica istituzionale né saluti del Papa al Regina Coeli.
E certamente, nel momento del passaggio di consegne della presidenza CEI dal cardinale Gualtiero Bassetti al suo successore, che sarà deciso nei prossimi giorni, si tratta anche di un modo per blindare il futuro presidente (ammesso che ne abbia bisogno).