Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Edoardo il Confessore a cura di Ermes Dovico
teologia grossolana

Avvenire continua a demolire: tocca alla Sacra Famiglia

Ascolta la versione audio dell'articolo

Un'intervista di Avvenire a Segoloni Ruta, docente all'Istituto Giovanni Paolo II ripesca i soliti luoghi comuni sulla verginità di Maria. Già smentiti e condannati dal Magistero millenario. 

Editoriali 03_01_2025

«Ad un certo punto c’è stato uno scollamento tra quanto raccontano i Vangeli e l’operazione che ha portato a trasformarla [la sacra Famiglia] in una sorta di quadretto devozionale, un santino che non rende giustizia ai protagonisti di questa storia. Quello che è certo è che i Vangeli non avevano alcuna intenzione di idealizzare la famiglia di Nazareth e di indicarcela come modello di riferimento, almeno nel modo in cui l’abbiamo a lungo intesa».

Non è chiaro cosa Simona Segoloni Ruta, docente invitato presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, intenda con l’espressione «quadretto devozionale» riferito alla Sacra Famiglia, nella recente intervista concessa al quotidiano Avvenire. E la docente si guarda bene dal precisarlo, dal momento che il riferimento peggiorativo ha il solo scopo di mettere in luce, creando l’effetto di un chiaro-scuro, la sua versione della Sacra Famiglia sovversiva dello schema del patriarcato: «Una coppia di sovversivi per amore». E alla fine si comprende che nello scantinato del “quadretto devozionale” finiscono tutti quei tratti della famiglia di Nazareth che si considerano non più adatti al nostro tempo. Un’operazione, al netto delle intenzioni, del tutto ideologica.

E va da sé che alle incalzanti non meno che morbose domande di Luciano Moia sulla vita sessuale di Maria e Giuseppe, Segoloni Ruta non poteva che avanzare una lettura dei Vangeli del tutto avulsa dall’interpretazione che la Chiesa ha sempre offerto e che qualsiasi cattolico che conosca le basi del catechismo ha ben presenti: «I Vangeli non sono interessati alla vita sessuale di Maria e di Giuseppe e quindi non ci dicono nulla al riguardo. Possiamo concludere quindi che questo non sia un elemento essenziale per la nostra salvezza? Sì, infatti la Dei Verbum 12 ci dice che nella Scrittura noi troviamo quella verità che è per la nostra salvezza. I padri conciliari si riferiscono a come dobbiamo leggere la Bibbia, a quale verità dobbiamo cercare, ma vale anche per discernere l’importanza degli elementi di fede che troviamo nella tradizione. I Vangeli non sono interessati alla vita sessuale di Maria e di Giuseppe. Io mi limiterei a constatare questo».

Che ne è dunque del dogma della verginità perpetua di Maria Santissima? Secondo la teologa, la verginità di Maria altro non sarebbe che la sua condizione nel momento dell’Annunciazione, ossia quella di giovane donna sposata giuridicamente a Giuseppe, ma non ancora entrata nella sua casa: «Maria non ha ancora “conosciuto uomo”, cioè secondo la logica, pur distorta, del patriarcato, non è ancora posseduta da nessuno, e quindi può disporre di se stessa in modo autonomo». Niente più dunque di una ragazza giunta vergine al matrimonio, ma della quale poi non si sa più nulla…

Nell’enciclica Redemptoris Mater, San Giovanni Paolo II confermava quanto la Chiesa sia in Oriente che in Occidente custodiva e trasmetteva sulla verginità della Madonna ante partum, in partu e post partum, insegnamento che trova un punto fermo nell’anatema del Concilio Lateranense del 649: «Se qualcuno non confessa secondo i santi Padri che la santa e sempre vergine e immacolata Maria sia in senso proprio e secondo verità Madre di Dio, in quanto propriamente e veramente alla fine dei secoli ha concepito dallo Spirito Santo senza seme e partorito senza corruzione, permanendo anche dopo il parto la sua indissolubile verginità, lo stesso Dio Verbo, nato dal Padre prima di tutti i secoli, sia scomunicato» (Denz. 503).

Lo stesso Pontefice, nell’Udienza generale del 7 agosto 1996, riprendeva anche il commento di alcuni Padri alla risposta di Maria santissima all’Angelo – «Non conosco uomo» (Lc 1, 34) -, confermando come essa esprimesse «il proposito di verginità», «la personale decisione di rimanere vergine, offrendo il suo cuore al Signore» e sottolineando nel contempo che questo “voto” costituisce «l’archetipo di tutti coloro che nella Chiesa hanno scelto di servire il Signore con cuore indiviso nella verginità», «l’inizio e l’evento ispiratore della verginità cristiana nella Chiesa».

Sorprende dunque la superficialità e sbrigatività con cui Segoloni Ruta ritiene che la questione non sia poi un elemento così rilevante della fede. Molto probabilmente perché non ha compreso quale sia la preziosità della consacrazione verginale nella Chiesa ed ancor meno la superiorità di questo stato di vita (non delle persone che vi sono chiamate) rispetto al matrimonio. E di tale superficialità dà prova allorché ritiene che la Chiesa per secoli avrebbe proposto il monachesimo come l’ideale cristiano per il fatto di percepire la sessualità come peccato: «Non scopriamo oggi che la Chiesa dei primi secoli era attraversata anche, ma non solo, da un atteggiamento sessuofobico. E che, dal III secolo in poi, l’ideale cristiano diventa il monachesimo. Per il monaco, il sesso è il grande nemico sulla via della santificazione. È una posizione questa che abbiamo pagato, e che in parte continuiamo a pagare, in termini di mancata comprensione di determinati fenomeni umani, ma anche sociali e culturali. Associando la sessualità al peccato, l’abbiamo confinata per troppo secoli al solo ambito della riproduzione». Affermazione approssimativa (per essere gentili) che conferma una volta di più quanto l’intelligenza dell’insegnamento cattolico da parte della Segoloni Ruta risulti gravemente obumbrato dall’ideologia contemporanea. Nell’alveo della fede cattolica, la sessualità vissuta nel matrimonio non è mai stata considerata un ostacolo alla santificazione; se invece ci si riferisce alla sessualità vissuta al di fuori del matrimonio e della sua finalità, allora ci preme ricordare che trattasi di dottrina cattolica, non di «atteggiamento sessuofobico».

Così come è dottrina cattolica il fatto che il peccato originale ha ferito anche la dimensione della sessualità umana, provocando in questa sfera così importante della vita umana un disordine difficile da ricondurre nell’ordine voluto da Dio; ferita sempre viva, che ha bisogno della grazia di Dio e della cooperazione dell’uomo, in particolare nell’ascesi. Una verità la cui urgenza la teologa sembra non avvertire: «Dopo tanti secoli, abbiamo insomma preso consapevolezza del fatto che la sessualità rende gloria a Dio così com’è, perché costruisce l’intimità, il piacere, la vita. Tutte cose buone e belle. Quindi è meglio che ci sia. E che donne e uomini possano viverla nella libertà, nella verità e nella gioia, senza sentirsi colpevolizzati». L’idea che la sessualità dia gloria a Dio «così com’è» misconosce completamente la realtà del peccato originale e squalifica due millenni di ascesi cristiana.

Sigoloni Ruta ha dato prova di non comprendere che cosa significhi leggere le Sacre Scritture nella Chiesa, né di capire che cosa sia la verginità consacrata a Dio, come di non conoscere la dottrina cattolica sulle conseguenze del peccato originale. E ci si domanda come sia possibile che chi vanta un “curriculum” del genere possa insegnare in una Facoltà pontificia. E scrivere sul quotidiano dei vescovi italiani.