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Avanza la dittatura del pensiero gender. L’Europa vieta di criticare i diritti gay e Lgbt

Risoluzione del Consiglio Ue: dalla necessità di legislazioni «contro omofobia e transfobia», alla depatologizzazione della identità transessuale» fino alla promozione del pensiero gender e al finanziamento pubblico delle organizzazioni Lgbt», con benefici alle aziende «inclusive».

Politica 24_06_2016
Avanza in Europa la dittatura del pensiero gender

Rientra dalla finestra dell'Europa la spinta verso la legge sull'omofobia che introdurrebbe, per la prima volta dopo il ventennio fascista, una restrizione sulla libertà di pensiero e di espressione. Tutto questo ovviamente è solo una parte dell'ampio accordo preso dal Consiglio dell'Unione Europea al fine di promuovere la «lotta alla non discriminazione Lgbt». 

In passato gli Stati europei avevano promosso iniziative simili, ma al di fuori dell'Ue. Basti ricordare che il Comitato dei Ministri (organo decisionale del Consiglio d'Europa, l'organizzazione internazionale che raccoglie 47 Stati per promuovere la democrazia) aveva già adottato nel 2010 una raccomandazione (Cm/rec 5), in seguito recepita senza passare dal Parlamento dall'allora ministro del Lavoro con delega alle Pari Opportunità, Elsa Fornero, la quale poi varò la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”. Ma questa è la prima volta che tutti e 28 gli Stati membri raggiungono un accordo in tale campo. 

La promozione dei nuovi diritti dell'“ideologia gender” è stata concordata venerdì scorso, come spiega il network americano Lifesitenews, sulla spinta della Commissione di Giustizia, di tutela dei consumatori e di uguaglianza di genere. Le richieste della Commissione agli Stati sono contenute in 24 pagine di azioni da adottare fra il 2016 e il 2019. Ovviamente il linguaggio scelto dal presidente della Commissione, Vera Jourová, non è quello dei diritti di una minoranza che si vuole imporre, ma delle vittime da difendere, secondo la prassi ormai consolidata della nota strategia ideata negli anni Novanta dai due attivisti Lgbt Marshall Kirk, ricercatore in neuropsichiatria, e Hunter Madsen, esperto di tattiche di persuasione e social marketing. Nel loro libro, After the Ball, Kirk e Madsen spiegano infatti al movimento arcobaleno che per farsi accettare occorre «ritrarre i gay come vittime, non come provocatori aggressivi». 

Nell'introduzione del programma d'azione, Jourová afferma quindi così: «Immaginate se foste attaccati per strada solo perché siete mano nella mano con il vostro partner. Immaginate se i vostri bambini (del cui diritto ad avere una madre e un padre non ci si interroga minimamente, ndr) sono stati vittime di bullismo o isolati a scuola solo per chi sono. Purtroppo, tali esperienze rimangono parte della vita quotidiana di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (Lgbti) cittadini d'Europa». Per questo motivo, spiegando che «gli Stati membri hanno un ruolo chiave da svolgere», si individuano le aree di competenza: «La non discriminazione, l'istruzione, l'occupazione, la salute, la libera circolazione, l'asilo, le espressioni di odio/crimine d'odio...». 

Si va dalla necessità di nuove legislazioni «contro il discorso omofobo e transfobico», alla «depatologizzazione della identità transessuale» fino al «finanziamento pubblico delle organizzazioni Lgbti», con benefici alle aziende che si impegnano a creare «un ambiente inclusivo». Per quanto riguarda la propaganda si sottolinea, invece, la necessità di una «ampia e inclusiva campagna di comunicazione», affinché «i cittadini dell'Ue cambino positivamente le loro maniere nei confronti delle persone Lgbti», anche dando una «maggior visibilità alle tematiche transessuali e intersessuali nell'Ue». Sempre secondo un metodo ormai noto, segnalato nel manuale strategico sopracitato che insegna a «inondare» la società di messaggi per «desensibilizzare» i cittadini.

Oltre ad auspicare una facilità nel riconoscimento dei documenti, qualora i cittadini cambino paese, facendo intendere che occorre riconoscere i diritti acquisiti nello Stato di provenienza, il testo continua confermando che quest'ultima è solo una delle conseguenze di un processo già avviato da anni. Infatti, già «il trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue) prevede che l'Unione miri ad eliminare in tutte le sue attività le ineguaglianze che servono a combattere la discriminazione in vari campi, tra cui il sesso e l'orientamento sessuale, nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e attività, incaricando il Consiglio di prendere provvedimenti per combattere le discriminazioni in questi ambiti».

I veri promotori di tutto però, sebbene la Commissione sia necessaria e si «impegni a fornire un feedback regolare al Consiglio, al Parlamento europeo, agli Stati membri e alle organizzazioni della società civile sui progressi compiuti nella realizzazione delle azioni», sono i governi: «Hanno un ruolo chiave da svolgere», dato che «in molte aree è di competenza degli Stati membri garantire i diritti Lgbti». Infine, si ricorda che «il cambiamento non avverrà in una notte, ma il cambiamento sarà possibile se ci sarà la volontà politica». Non a caso per riuscire a negare la natura più evidente della realtà ci sono voluti oltre cinquant'anni.