Autonomia o presidenzialismo, braccio di ferro Lega-FdI
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In Autunno entrerà nel vivo la campagna elettorale per le Europee. Il Carroccio sta cercando di recuperare terreno su Fratelli d’Italia e difficilmente il partito della Meloni offrirà a Salvini il trofeo dell’autonomia da poter esibire al suo elettorato.
Senza riforme strutturali e di sistema un Paese come l’Italia, fortemente indebitato e con una crisi di rappresentanza politica sempre più acuta, non sembra avere un grande futuro. La crescita rallenta, come documentano i dati sul Pil. L’assistenzialismo si sta rivelando difficile da debellare. L’inflazione appare fuori controllo, i prezzi di beni e servizi schizzano pericolosamente verso l’alto e dopo l’estate è assai probabile che i nodi di nuove povertà possano venire al pettine.
Per questo occorre accelerare sulle riforme strutturali e di sistema, in grado di responsabilizzare maggiormente i territori e le comunità, di contrastare le clientele e i parassitismi che si annidano soprattutto in alcune aree del sud, e di dare ossigeno alle forze produttive che vedono i loro sforzi vanificati dal peso della burocrazia e dall’iniquità di un fisco opprimente e che per certi versi incentiva all’evasione.
Il disegno di legge del Ministro Roberto Calderoli sull’autonomia differenziata, pur essendo in alcuni punti migliorabile, ha il pregio di intervenire in maniera energica su queste criticità e meriterebbe il sostegno convinto e compatto da parte dei partiti della maggioranza. Invece, nelle ultime ore, sembra ci sia un rallentamento dell’iter, dovuto a questioni di piccolo cabotaggio e rivalità tra le forze di governo.
Va detto che in particolare la Lega su questo tema si gioca la sua sopravvivenza. Ne ha fatto un suo cavallo di battaglia irrinunciabile. La circostanza è ben chiara al Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, che nei giorni scorsi, intervenendo alla Festa del Carroccio a Cervia, ha lanciato un chiaro e perentorio avvertimento agli alleati: «Se l'autonomia non arrivasse nella tempistica del 2024 vuol dire che abbiamo fallito come obiettivo. Ma non fallisce la Lega, fallisce il governo. Se non ci credi, non li firmi questi obiettivi. La Lega non può considerarlo un “di cui”. Sull'autonomia c'è un progetto chiaro, abbiamo firmato un contratto e va rispettato». E ha aggiunto: «L'autonomia – dice il presidente del Veneto – è nel programma di governo. Non fare l'autonomia significa venire meno a un patto. E quando il patto si rompe non si sa mai da che parte vanno i cocci. L'autonomia non porta via i soldi a nessuno. L'autonomia non è l'assalto all'unità nazionale. O la facciamo per scelta, o la faremo per necessità. È immorale che ci siano cittadini costretti a farsi la valigia per andarsi a curare fuori regione. È immorale che ci siano posti in Italia dove non si raccoglie l'immondizia. O decidiamo di dar voce alla foresta che cresce di queste regioni, o continuiamo con l'assistenzialismo e vedremo dove si va a finire».
Se è vero che il patto di governo tra i due principali azionisti di governo, Fratelli d’Italia e Lega, si regge sullo scambio tra presidenzialismo (caro ai meloniani) e autonomia differenziata (cara ai leghisti), sembra che quel patto sia entrato in una fase di stallo. Tutto fermo sull’elezione diretta del premier (o del capo dello Stato), tanto che il “guastafeste” Matteo Renzi ha provocatoriamente rilanciato il tema proprio in queste ore, dichiarandosi favorevole all’elezione diretta del Presidente del consiglio. Tutto rallentato sull’autonomia, visto che il presidente della commissione affari costituzionali del Senato, il meloniano Alberto Balboni, ha frenato la discussione. Certo è che, ora come ora, appare velleitario il proposito di arrivare al voto in aula a Palazzo Madama già a settembre.
In caso di naufragio del provvedimento, però, diventerebbe tutto più difficile perché in autunno entrerà nel vivo anche la campagna elettorale per le elezioni europee. Visto che si vota con il sistema proporzionale, ogni partito correrà per conto suo e cercherà di massimizzare la sua utilità e di portare a casa risultati graditi al proprio elettorato. Il Carroccio sta cercando di recuperare terreno su Fratelli d’Italia e quindi ben difficilmente il partito della Meloni offrirà a Salvini il trofeo dell’autonomia da poter esibire al suo elettorato.
Se poi le elezioni europee dovessero contribuire a intossicare il clima nella coalizione di governo, la spinta riformatrice si affievolirebbe ulteriormente e inizierebbero i regolamenti di conti, i veti, i boicottaggi. Non sarebbe da escludere neppure un rimpasto e le riforme che il Paese attende da anni, in particolare l’autonomia differenziata, si arenerebbero.
Ma, come ha detto Zaia, non sarebbe solo un danno per la Lega o per il centrodestra, sarebbe un danno per il governo e per il Paese. L’autonomia differenziata prevede il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Oltre alle competenze, le regioni tratterrebbero il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale, il che consentirebbe un controllo più efficace delle risorse pubbliche e una loro gestione più oculata da parte di territori e comunità.
Un principio elementare e di buon senso che si scontra con incrostazioni clientelari soprattutto al sud, con rendite di potere e privilegi che finora nessun governo è riuscito a intaccare. Chi paventa il rischio che il disegno di legge Calderoli aumenti le disuguaglianze nord-sud dimentica che notoriamente la spesa è più efficace e ci sono meno sprechi quando il rapporto tra chi spende e i beneficiari è più stretto. Se chi deve spendere le risorse conosce bene i cittadini e i territori è assai più probabile che compia le scelte migliori e più utili alla collettività. Il livello dei servizi al sud è costantemente peggiorato nonostante gran parte dei burocrati e del ceto politico provenga da quell’area del Paese. È dunque il meccanismo di gestione delle risorse pubbliche che è sbagliato e va modificato, responsabilizzando maggiormente i territori e le comunità, altrimenti sarà la crisi socio-economica a far esplodere inesorabilmente le contraddizioni del centralismo statalista.