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a cura di Stefano Fontana

Il problema

Autonomia e premierato: la Cei entra in politica

Il presidente dei vescovi, Matteo Zuppi, interviene sull’autonomia differenziata e il premierato. Ma è un intervento che contraddice il magistero.

Dottrina sociale 01_06_2024

Il cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, è intervenuto su due questioni schiettamente politiche di attualità nel nostro Paese: l’autonomia differenziata delle regioni e il premierato. Lo ha fatto durante l’intervista a conclusione della recente 79^ Assemblea ordinaria dei vescovi. Il cardinale ha fatto capire che, secondo i vescovi, l’autonomia differenziata romperebbe l’unità del Paese e ha suggerito di affrontare il problema del premierato «con lo spirito della Costituzione: come qualcosa di non contingente, che non sia di parte».

Sul tema dell’autonomia differenziata, poi, il Consiglio permanente della Cei (Conferenza episcopale italiana) ha pubblicato una breve nota nella quale vengono espresse preoccupazioni sulla riforma. Il criterio assunto è che «il Paese non crescerà se non insieme» e, come la Chiesa sta sperimentando un «camminare insieme» nel processo sinodale, così i vescovi credono che «la parola “insieme” sia la chiave per affrontare le sfide odierne e la via che conduce a un futuro possibile per tutti».

Come criterio di questo camminare insieme, la Cei suggerisce di tenere sempre collegate tra loro la solidarietà e la sussidiarietà e sulla riforma dell’autonomia differenziata dà un giudizio allarmistico e negativo: «Ci preoccupa qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie. In questo senso, il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica.
Tale rischio non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata larga parte delle risorse spettanti alle Regioni e che suscita apprensione in quanto inadeguato alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi».

Del resto, già il comunicato finale dell’Assemblea suonava così: «Alcuni progetti legislativi rischiano di accrescere il gap tra territori oltre che contraddire i principi costituzionali. È in gioco il bene comune che può e deve essere promosso sostenendo la partecipazione e la democrazia, valori al centro della 50esima Settimana Sociale dei Cattolici, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio».

Sia l’intervento del cardinale Zuppi che questa nota del Consiglio permanente destano parecchie perplessità.

Punto primo: il magistero ha sempre sostenuto che le formule politiche, gli assetti istituzionali, le forme di governo non sono argomenti di pertinenza della Chiesa. Essa non interviene a questo proposito dato che il suo compito non è direttamente politico, ma religioso e morale. Qui, invece, si interviene proprio su due riforme istituzionali sulle quali c’è libertà di scelta prudenziale, fatti salvi certi principi.

Punto secondo: compito della Chiesa non è di fare scelte politiche, ma di illuminare le coscienze di quanti le devono fare. Questa illuminazione non può basarsi sui vaghi concetti di insieme, solidarietà, inclusione e vuota prevalenza del “noi”. Sostenere la partecipazione e la democrazia non basta. Il fatto di camminare “insieme” non dice nulla sulla bontà della direzione. Insieme si può anche cadere nel burrone.

Punto terzo: scopo dei vescovi italiani quando si occupano di politica non può essere solo il richiamo alla Costituzione repubblicana, che non è il Vangelo, tenendo conto, tra l’altro, delle speculazioni politiche che in questo momento vengono fatte su questo argomento dalle forze antigovernative.

Punto quarto: dopo aver affermato la necessità di tenere insieme solidarietà e sussidiarietà non è corretto applicare il principio dando un giudizio negativo sulla riforma in atto. Questo non è un passo che spetta ai vescovi. Se lo fanno scendono in politica diretta contro il governo.

Stefano Fontana