Autonomia differenziata, la Consulta frena il governo ma non la riforma
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La Corte Costituzionale ha bocciato alcuni aspetti importanti della riforma sull'autonomia differenziata delle regioni, appena varata dal governo Meloni. Ma non l'affossa del tutto. Certo ha creato una difficoltà in più, anche di tenuta della coalizione.
L’autonomia differenziata si realizzerà, ma probabilmente rallenterà di molto il suo percorso. La legge già in vigore è stata bocciata in alcune sue parti dalla Corte Costituzionale e ora il Parlamento dovrà porvi mano, ma il suo impianto generale è da considerarsi accettabile. Ora bisognerà attendere il deposito della sentenza, ma già leggendo la nota di tre pagine diffusa due giorni fa dalla Consulta si comprende che il ricorso presentato da Campania, Puglia, Sardegna e Toscana è stato ritenuto infondato perché la costituzionalità di quella legge è fuori discussione.
Tra i rilievi mossi dai giudici costituzionali spicca l’errato trasferimento dallo Stato alle Regioni di intere materie anziché di specifiche funzioni. Inoltre il concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica è doveroso e non facoltativo. Problemi anche per la determinazione dei Lep, cioè i livelli essenziali di prestazione. Per la Corte una delega legislativa, priva di criteri direttivi idonei, rischia di accentrare il potere decisionale nelle mani del governo, limitando il ruolo del Parlamento, quindi non può essere un decreto del Presidente del consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Lep ma dev’essere una legge ordinaria.
In generale la Consulta ha ribadito che l’autonomia differenziata, disciplinata dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, deve inserirsi nel quadro dei principi fondamentali della Repubblica: unità, solidarietà tra le regioni, uguaglianza, garanzia dei diritti dei cittadini ed equilibrio di bilancio. La distribuzione delle funzioni tra Stato e Regioni deve seguire il principio di sussidiarietà, mirando a una maggiore efficienza, responsabilità politica e attenzione ai bisogni dei cittadini.
Ora dunque la palla passa alle Camere, chiamate a modificare la legge secondo le indicazioni della Costituzione ed è prevedibile che ciò avverrà con tempi più lunghi e con un percorso molto più tortuoso, considerati anche i pessimi rapporti tra maggioranza e opposizione su questo tema e la diversità di sfumature nello stesso centrodestra, con la Lega determinata ad esibire il trofeo dell’autonomia differenziata al suo elettorato e Forza Italia e Fratelli d’Italia più dubbiosi poiché temono una crisi di rigetto da parte dei governatori del sud come Occhiuto (Calabria) e Bardi (Basilicata).
Il ministro delle riforme Roberto Calderoli fa buon viso a cattivo gioco e si dice soddisfatto. Parla della necessità di semplici correttivi da individuare nel dibattito parlamentare preservando però l’impianto complessivo della riforma, che parte da lontano e dai referendum consultivi in Veneto e Lombardia che avevano già sollecitato una riforma del genere per decentrare i poteri sui territori, valorizzandoli maggiormente rispetto all’attuale gestione centralista e statalista delle risorse pubbliche.
Peraltro la sinistra è assai contraddittoria nel criticare l’autonomia differenziata dopo aver varato nel 2001 la riforma del titolo V, ma è costretta a fare così per ricompattarsi almeno su questo, visto che è divisa su molti altri temi.
Ora però le incognite sono tre. La prima riguarda le sorti del referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata che, se giudicato ammissibile, potrebbe tenersi in primavera. Molti costituzionalisti ritengono che ora l’eventuale consultazione referendaria non ha più senso perché con le modifiche chieste dalla Consulta la legge perderà molti dei suoi profili ritenuti discutibili dai promotori del referendum stesso. Questo significa disinnescare una mina sul cammino del governo, visto che, in caso di svolgimento del referendum, molti esponenti del centrodestra si troverebbero in serie difficoltà: da una parte, per disciplina di partito, dovrebbero schierarsi per il no all’abrogazione; dall’altra, per compiacere il loro elettorato meridionale ancora largamente imbevuto di assistenzialismo potrebbero propendere per il sì, cioè per la cancellazione di questa riforma, presentandola come una “secessione dei ricchi”.
La seconda incognita riguarda i tempi, che rischiano di allungarsi a dismisura, visto che ora le opposizioni, sempre più agguerrite, potranno chiedere audizioni in Parlamento e quindi proporranno di ascoltare alcuni costituzionalisti fermamente contrari all’autonomia differenziata.
La terza incognita attiene alla tenuta del centrodestra. Se l’autonomia differenziata, come è probabile, si impantanerà, la Lega boicotterà il premierato, che invece sta a cuore a Meloni e Fratelli d’Italia, e la stessa riforma della giustizia, che pure interessa a tutti e tre i partner di governo, potrebbe subire altri stop and go. La seconda parte della legislatura, quindi, anziché consolidare l’unità del centrodestra, potrebbe preludere alla sua disgregazione.