Auto in crisi, l'Italia di più
La reazione alla crisi del mercato dell’auto - ieri i nuovi drammatici dati - è uno degli esempi più evidenti della schizofrenia della nostra società. In questi 40 anni si è fatto di tutto per scoraggiarne l'uso e ora si piange per le conseguenze volute.
La reazione alla crisi del mercato dell’auto è uno degli esempi più evidenti della schizofrenia della nostra società. Anche ieri sono state diffuse cifre drammatiche: nel 2012 c’è stato un ulteriore crollo in Italia delle vendite di auto, con un -19,87% rispetto all’anno precedente e con vendite effettive di 1.402.089 automobili, ai livelli del 1979, ben 33 anni fa. E per il 2013 si prevede un ulteriore, forte calo.
E come al solito, a ogni bollettino sul mercato delle auto, segue pianto e lamento su questa crisi che significa perdita di posti di lavoro, il ritorno del solito tormentone su Fiat che non vuole più investire in Italia e domande angosciate su come uscire da questa crisi, cosa fare per risollevare questo settore così importante dell’industria italiana.
E’ un pianto e un lamento che sarebbe comprensibile se non fosse che negli ultimi decenni si è fatto di tutto per provocare questa crisi.
Basti citare un paio di fattori. Il primo riguarda l’andamento demografico. Chi compra maggiormente le auto, chi le cambia più spesso? I giovani che lavorano, le giovani coppie che cambiano auto anche per le nuove esigenze legate alla nascita dei figli, persone comprese comunque tra i 20 e i 40 anni. Perché più si va avanti nell’età più si tende a conservare l’automobile fino ad arrivare a quei modelli che si consumano con il consumarsi della vita del proprietario. Aspettarsi che a ravvivare il mercato dell’auto siano i sessantenni o i settantenni più che illusorio è ridicolo. Ma ecco il punto: negli ultimi 50 anni la popolazione italiana compresa tra i 20 e i 40 anni si è assottigliata passando dal 31% circa al 25, e peraltro con una tendenza all’invecchiamento anche all'interno di questa fascia d’età. Cifra ancora più comprensibile se consideriamo l’indice di struttura della popolazione attiva - ovvero il rapporto tra la fascia 40-64 anni e quella 15-39 – che solo negli ultimi dieci anni è passato da 93,5 a 116,5. Dunque se viene meno la fascia principale dei consumatori, ci si può stupire che l’acquisto di auto diminuisca? E visto che questo risultato lo si è caparbiamente voluto diffondendo paure sulla sovrappopolazione, distruggendo la famiglia e la vita con contraccezione, divorzio, aborto, ci si può ora seriamente lamentare delle conseguenze?
Secondo fattore: da anni l’auto e gli automobilisti sono demonizzati, sono additati come il nemico numero uno della vivibilità delle città. Così, ogni volta che c’è da raccattare soldi per chiudere i buchi delle casse statali viene facile come primo provvedimento una nuova tassa sulla benzina (l’ultimo ritocco, per chi non se ne fosse accorto, è scattato con l’inizio del nuovo anno). Oggi le tasse contano per quasi il 60% del costo dei carburanti; se consideriamo che in un anno gli italiani spendono oltre 60 miliardi di euro in carburante, i conti sono presto fatti. A questi si devono poi aggiungere gli introiti per la tassa di circolazione e per la Rc Auto: nel 2011 le tasse a queste voci hanno portato quasi 9 miliardi di euro nelle casse dello Stato. In totale una cifra enorme, che solo in minima parte ritorna in spese per servizi e infrastrutture agli automobilisti. A questo si deve poi aggiungere la cultura ecologista dominante che scoraggia in ogni modo l’acquisto di automobili, considerate il simbolo del male.
Se si fosse coerenti, allora, alla notizia del crollo del mercato delle auto ci dovrebbero essere festeggiamenti. E invece no: con la stessa protervia e arroganza con cui si condanna l’uso dell’auto, si piange poi per la crisi dell’industria automobilistica, magari prendendosela con chi non ha più voglia di investire in Italia in questo settore.
C’è evidentemente un corto circuito nella nostra cultura, e purtroppo non riguarda solo il mercato dell’auto.