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IPOCRISIA POLITICA

Atleta trans gareggia con le donne? Se è per l'Italia va bene

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Alle Paralimpiadi che aprono oggi gareggia il trans italiano Valentina Petrillo. Dove sono i politici del centrodestra che solo un mese fa si scatenavano sul "caso Imane Khelif"? L'ideologia gender e i suoi danni vanno combattuti sempre. Così i politici perdono qualsiasi credibilità.

Editoriali 28_08_2024 English
Valentina Petrillo - LaPresse

«Penso che atleti che hanno caratteristiche genetiche maschili non debbano essere ammessi alle gare femminili. E non perché si voglia discriminare qualcuno, ma per tutelare il diritto delle atlete a poter competere ad armi pari». Non è passato neanche un mese da quando il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pronunciato queste sacrosante parole.

Era il primo agosto e si era in piena polemica per il caso di Imane Khelif, il/la pugile algerino/a, che aveva battuto (per ritiro alla prima ripresa), la pugile italiana Angela Carini. Khelif avrebbe poi vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi per la propria categoria tra le proteste di altre atlete e federazioni nazionali che la denunciavano come uomo e perciò con un inaccettabile vantaggio competitivo (anche pericoloso, visto lo sport).

Meloni non fu la sola: Matteo Salvini, leader della Lega, parlò di «vergogna» da parte di «quei burocrati che hanno permesso un match che evidentemente non era ad armi pari». E tanti altri ministri e politici del centrodestra si sono spesi per la causa, dal presidente del Senato Ignazio La Russa al ministro Eugenia Roccella; e anche il ministro competente, quello dello Sport, Andrea Abodi, attaccò nell’occasione il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), in quanto «poco comprensibile che non ci sia un allineamento nei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale, che includa quindi Europei, Mondiali e Olimpiadi». Tra parentesi, l’unica voce dissonante nella maggioranza è stata quella del solito Antonio Tajani, Forza Italia, che invitava ad abbassare i toni, preoccupato delle implicazioni politiche di uno scontro con l’Algeria, nostro partner economico.

Ecco, dicevamo che non è passato neanche un mese. Oggi aprono, sempre a Parigi, le Paralimpiadi e clamorosamente tocca proprio all’Italia schierare il primo atleta transgender, tale Valentina Petrillo, nata Fabrizio. Quindi in questo caso non c’è neanche il dubbio sul sesso come è nel caso di Imane Khelif: “Valentina” è proprio un uomo che a un certo punto della sua vita ha deciso di essere donna, cosa che gli è stata riconosciuta dallo Stato italiano senza neanche bisogno di un intervento chirurgico.

Petrillo è ipovedente e parteciperà nell’atletica leggera nelle gare dei 200 e 400 metri piani, distanze su cui gareggiava in precedenza – pare con discreto successo – anche nella categoria maschile. Senonché nel 2018, a 45 anni, dopo un matrimonio e due figli, ha deciso di avviare la transizione di genere seguendo un desiderio che dice avesse da sempre. E al termine di un comprensibilmente difficoltoso iter burocratico ha potuto gareggiare nella categoria femminile, grazie anche alla spinta “politica” del movimento transgender che ne ha fatto un simbolo delle sue battaglie.

L’atleta Valentina Petrillo è infatti anche un progetto degli attivisti del Gruppo Trans APS, che della sua storia hanno fatto un film a scopo educativo: “5 nanomoli – Il sogno olimpico di una donna trans”. Cosa sono i 5 nanomoli? È la concentrazione massima di testosterone (per litro di sangue) consentita per gareggiare nella categoria femminile: «Un confine simbolico tra maschile e femminile» lo definiscono gli autori del film. Un limite per rientrare nel quale Valentina Petrillo si è sottoposta a una pesante cura ormonale. A questo si deve aggiungere che la federazione chiamata a decidere, la World Para Athletics, ha nel suo regolamento che le atlete riconosciute legalmente come donne possono partecipare alle gare femminili.

Quindi tutto regolare? Non proprio, visto che l’ammissione di Valentina Petrillo alle Paralimpiadi ha significato l’esclusione di un’atleta spagnola, Melani Berges, arrivata dietro Petrillo nelle gare valide per la qualificazione. E Melani, così come la federazione spagnola, non l’hanno presa molto bene: «La nostra atleta spagnola Melani Berges - ha dichiarato alla Bild l’avvocato esperto in diritto sportivo internazionale Irene Aguiar - ha perso la possibilità di qualificarsi per le Paralimpiadi. Il motivo è la partecipazione dell'uomo Fabrizio ‘Valentina' Petrillo, che è arrivato in finale al suo posto. Questo è ingiusto». E c’è stata anche la lettera di oltre 40 associazioni femministe di tutto il mondo che chiedevano alla Federazione paralimpica spagnola di fare ricorso contro l’eliminazione della propria atleta. Ma il regolamento, come detto, è dalla parte di Valentina Petrillo, come ha poi ribadito il presidente del Comitato Paralimpico Internazionale Andrew Parsons: «Per il momento, le regole della World Para Athletics – ha detto alla BBC - consentono a Petrillo di competere, quindi sarà benvenuta come qualsiasi altro atleta. Penso che sia giusto che trattiamo gli atleti transgender con rispetto. Ma penso che la scienza dovrebbe darci la risposta perché vogliamo anche essere giusti con gli altri atleti. È una questione molto difficile».

Torna l’argomento già sentito nella polemica sul caso Khelif: per capire chi è maschio e chi femmina c’è bisogno della scienza, il tempo dell’evidenza e del buon senso è definitivamente tramontato.

Ad ogni modo, la polemica internazionale sul caso Petrillo è montata a metà agosto. Dopo la vicenda Khelif ci si poteva aspettare un’altra immediata presa di posizione dei nostri governanti; come minimo delle scuse all’atleta spagnola che ha vissuto lo stesso dramma di Angela Carini. E Abodi, in quanto ministro dello Sport, avrebbe come minimo dovuto ribadire una critica alle federazioni sportive che emanano regolamenti incoerenti e ingiusti. In Italia abbiamo anche un ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, che avrebbe avuto la possibilità di farsi conoscere prendendo le difese di atlete disabili che non meritano di essere penalizzate da regolamenti che hanno una base esclusivamente ideologica.

Invece, nulla. Silenzio assoluto. Del tema che appena quattro settimana fa aveva così tanto appassionato i nostri governanti non importa più nulla a nessuno. È così che i politici perdono qualsiasi credibilità, anche quando fanno delle battaglie giuste. Perché il riconoscimento di chi è uomo e di chi è donna non può essere condizionato dalla nazionalità o dall’opportunità politica. La denuncia dell’ideologia gender e delle ingiustizie che ne derivano deve valere sempre oppure è soltanto una maschera ipocrita per lucrare qualche consenso in alcuni settori dell’elettorato.



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