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L'EDITORIALE

Assolto per insufficienza di prove

Soddisfazione per la sentenza sul crocifisso che arriva da Strasburgo, ma le motivazioni lasciano perplessi: in pratica non ci sono prove che nuoccia alla salute dei fanciulli.

- Santa Sede: «Sentenza storica»

Editoriali 18_03_2011

Il crocefisso può restare nelle aule scolastiche del nostro Paese. Ci ha messo 5 anni, ma alla fine la Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha concluso che l’Italia, esponendo l’immagine di Gesù in croce negli edifici pubblici, non viola i diritti umani. A Strasburgo la vicenda è approdata nel 2006, quando Sonia Lautsi, cittadina italiana nata finlandese, lamentò la presenza del crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata dai figli. Nel 2009 la Corte aveva dato sostanzialmente ragione alla donna, provocando la decisa reazione del Governo italiano, che aveva domandato il rinvio alla Grande Chambre della Corte, ritenendo la sentenza 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva come riconosciuta dallo Stato italiano. Ora è arrivata la sentenza, con 15 voti a favore e 2 contrari, che dà ragione all’Italia.

Non si può che gioire della solenne decisione assunta dai giudici del vecchio continente, anche se non manca qualche elemento di perplessità, su cui sarà bene riflettere.

Innanzitutto, l’oggetto del contendere. Si trattava infatti di decidere se la visione del crocefisso nuoce ai bambini. Una ipotesi lunare, degna di un racconto di Dino Buzzati o di un romanzo di Isaac Asimov. Perché, un conto è porre apertamente in questione il diritto del cristianesimo di apparire come fenomeno pubblico e civile. Arrivando magari alle conclusioni cui sono giunti molti paesi islamici, nei quali i cattolici sono perseguitati, o costretti a vivere la fede in modo privatissimo. Una situazione inaccettabile, che però nessun persecutore si sogna di giustificare invocando il rispetto dei diritti umani: semplicemente, tali diritti li nega, apertamente.

Ma un altro paio di maniche è invece cercare di perseguitare il fatto cristiano, facendo finta di agire nel rispetto dei sacri valori della dignità dell’uomo. La paradossalità del procedimento avviato davanti alla Corte di Strasburgo sta proprio in questa logica truffaldina e capovolta. Alla fine, il crocifisso resta al suo posto, ma il motivo che sta alla base di questo risultato lascia di stucco: secondo i giudici, infatti, non sussistono elementi che provino l’eventuale influenza sugli alunni del simbolo della religione cattolica. In pratica, è come dire: il crocifisso può restare appeso in aula, perché non ci sono prove sufficienti che possa nuocere alla salute dei fanciulli. In punta di diritto, se ne potrebbe ricavare l’impressione di una sorta di “assoluzione per insufficienza di prove”, per usare il linguaggio del vecchio codice di procedura penale.

Inoltre, sembra di capire che quell’Uomo mandato al patibolo, inchiodato al legno e trapassato da una lancia, viene trattato dalla burocrazia e dai giudici europei come un materiale radioattivo di incerta provenienza, un meteorite piovuto dallo spazio profondo, un isotopo sconosciuto. Farà male? Non farà male ai nostri bambini? La sentenza dice che non ci sono abbastanza prove per dirlo. Però, attenzione: non si sa mai. Il crocifisso presentato come il nocciolo duro di un reattore nucleare, al quale possono avvicinarsi solo uomini in tuta bianca e mascherina. E i bambini lontano, sennò chissà che trauma.

Ma c’è un altro passaggio della sentenza che lascia sconcertati: la riduzione della Croce a soprammobile senza vita. “Il crocefisso  - dicono i giudici - è un simbolo essenzialmente passivo" e la sua influenza sugli alunni non può essere paragonata all’attività didattica degli insegnanti.

Poveri magistrati della vecchia Europa: cercano faticosamente di dimostrare che quell’oggetto può restare dov’è perché è morto. Ma proprio la loro sentenza, e gli anni di carte bollate, e di cavilli, e di ricorsi, dimostrano che l’Uomo della Croce è più vivo che mai. E che molti, troppi uomini, hanno paura di Lui.