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AUMENTO NEGATO

Assegno, famiglie numerose ancora beffate

Nelle bozze della manovra che approda oggi alla Camera si scopre che l’aumento dell’assegno unico per le famiglie numerose e non, annunciato dalla Meloni, è solo per chi ha figli sotto i tre anni. In questo modo si riduce la platea dei beneficiari e si creano discriminazioni. Una beffa che smentisce le promesse del ministero della Famiglia.

Famiglia 28_11_2022
Eugenia Roccella

Nel corso della conferenza stampa di presentazione della sua prima manovra finanziaria, la premier Giorgia Meloni aveva parlato di un grande piano per la famiglia. E in particolare si era espressa così: «L’assegno unico viene aumentato del 50% a tutti per il primo anno di vita del bambino e viene aumentato del 50% per tre anni per le famiglie che hanno tre figli o più, quindi per le famiglie numerose l’aumento del 50% dura tre anni» (QUI al minuto 11.03 e seguenti). 

Effettivamente, l’annuncio era sembrato un passo molto promettente e finalmente nell’ottica di una massiccia politica famigliare. Aumentare del 50% l’assegno unico significa avvicinarsi ai 250 euro a figlio, che era la cifra annunciata incautamente da Mario Draghi nel presentare la riforma degli assegni famigliari con l’introduzione dell’Assegno Unico.

Purtroppo, si sa, i sogni muoiono all’alba e sabato mattina, con l’inizio della divulgazione delle prime bozze della legge di bilancio, si è scoperta un’amara verità.

L’assegno unico aumenterà sì del 50% e fino a 40mila euro di Isee, ma solo per una determinata categoria di famiglie numerose e non: quelle che hanno un figlio al di sotto dei tre anni. Il governo, infatti, ha circoscritto la platea dei beneficiari introducendo un fattore età, che non era mai stato contemplato.

La decisione produce una stortura che potrebbe delineare una vera e propria discriminazione per quelle famiglie numerose, che a parole dovevano essere le principali beneficiarie della misura del governo, ma nei fatti non lo sono.

Proviamo a fare un esempio. Una famiglia con tre figli di cui uno di due anni e 39mila euro di Isee (un reddito comunque elevato) godrà del beneficio del 50% per il figlio sotto i tre anni. Al contrario, una famiglia con cinque figli di 4, 7, 11, 13 e 18 anni e una soglia Isee di 20mila euro, quindi dalle disponibilità economiche più contenute, non godrà dell’aumento, che per voce della stessa premier sarebbe dovuto andare alle famiglie numerose, le quali sono fissate sui quattro figli e più e non sui tre figli.

Una beffa, che discrimina ancora una volta i nuclei che hanno investito sui figli e si ritrovano - per l’ennesimo governo - trattati da cenerentole.

Che cosa è successo?

La Bussola ha potuto appurare da fonti vicine al ministro Eugenia Roccella che dal Ministero della Famiglia il Pacchetto famiglia, nel quale il Governo si impegna meritoriamente a mettere comunque 1 miliardo e mezzo di euro in più rispetto al passato, era configurato con la richiesta di mettere strutturale l’incremento del 50% dal quarto figlio in su: vale a dire un provvedimento simile a quello che è stato fatto per i disabili cioè, la resa strutturale della maggiorazione al semplice scattare del quarto figlio. «Invece, successivamente, il Governo ha deciso di estendere la platea non solo a chi ha tre figli e inserendo un tetto Isee, ma introducendo la variabile dell’età dei figli e abbassandone l’età fino a tre anni», ci è stato risposto. Si tratta dunque di una decisione partorita al MEF.

Il governo, però non ha spiegato perché da un lato ha allargato la platea degli aventi diritto come numero di figli, ma allo stesso tempo ridotto il numero dei beneficiari circoscrivendoli sull’età effettiva dei componenti della famiglia.

La misura, apparentemente, potrebbe sembrare un buon punto di partenza nell’ottica della natalità: il passaggio dal secondo al terzo figlio, infatti, è notoriamente quello più difficile per le tasche di una famiglia e andando a intervenire su quel passaggio, il Governo sicuramente mostra attenzione verso questa fase critica della vita economica di una famiglia. Però, il risultato finale che emerge da questa misura è che il terzo figlio va aiutato, ma solo fino al compimento del terzo anno, poi dal quarto anno in poi verrà riconosciuto come tutti gli altri. Insomma: è un riconoscimento più al terzo figlio, se vogliamo, ma non alla famiglia nel suo complesso, che diventerà sempre sconveniente se numerosa e più vicina alla povertà,  come stranoto.

La misura è figlia anche di un pregiudizio e di una cecità di politica famigliare: si continua a pensare che le famiglie vadano aiutate maggiormente all’inizio della loro formazione, come se i figli costassero di più quando sono piccoli. Quando semmai è il contrario: i figli costano maggiormente più diventano grandi e di questa cecità ne è prova il fatto che non sono stati previsti correttivi di equiparazione dell’assegno per i figli maggiorenni ancora a carico rispetto ai fratelli ancora minorenni, come se un 19enne studente e in carico alla famiglia dovesse costare di meno degli altri che hanno 10 anni e meno costi vivi.

Non riconoscerlo e penalizzarli è non solo sbagliato, ma anche un tradimento di quanto si è sostenuto appena due mesi fa in campagna elettorale.

La manovra approda oggi alla Camera e la partita dell’Assegno unico potrebbe subire dei cambiamenti in corso, anche alla luce del fatto che proprio domani il ministro Roccella ha convocato l’Osservatorio sull’assegno unico e i rappresentanti delle Associazioni famigliari non si lasceranno sfuggire di denunciare questa beffa inaspettata.