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SVOLTA IN SIRIA

Assad si allontana dall'Iran e torna nel mondo arabo

Milizie iraniane si ritirano dalla Siria. Le cause immediate sono due: la crisi economica causata dall'epidemia e i continui raid israeliani sulle loro basi in Siria. Ma è anche Assad che sta cambiando prospettiva. In vista della vittoria e della ricostruzione deve necessariamente riallacciare i rapporti con i Paesi arabi, che vedono l'Iran come un pericolo. 

Esteri 15_05_2020
Zarif (Iran) e Bashar al Assad

Aria di mutamenti politici e strategici in Siria, soprattutto nella collocazione del paese arabo che cerca di uscire da una guerra nello scacchiere mediorientale. L’Iran starebbe ritirando dalla Siria almeno una parte delle sue forze militari e paramilitari in seguito ai reiterati attacchi aerei e missilistici israeliani contro le sue basi, stimate in una dozzina.

Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, (Ong con sede a Londra) gli ultimi attacchi israeliani hanno preso di mira la notte del 4 maggio la regione di Deir Ezzor, sull’Eufrate, colpendo in particolare l’area di Mayadin, dove da tempo si registrano intensi movimenti di milizie filo-iraniane e di pasdaran iraniani, non lontano dal confine con l’Iraq. Fonti della Difesa israeliana hanno rivelato il 5 maggio che Teheran si sta ritirando “gradualmente” dalla Siria provvedendo a chiudere le basi militari all’interno del Paese. Gerusalemme parla di “riduzione significativa” di forze iraniane in Siria destinata probabilmente ad allentare la tensione tra Israele e Siria che pure da anni contrasta con qualche successo le incursioni missilistiche israeliane contro le basi iraniane, degli Hezbollah libanesi e delle milizie sciite guidate dai Guardiani della Rivoluzione Islamica inviati in Siria a sostenere le forze governative contro lo Stato Islamico e gli altri insorti islamisti sunniti.

Le fonti israeliane hanno aggiunto di aver rilevato anche una flessione nel numero delle milizie sciite che operano in Siria anche se questo dato sembra essere più “congiunturale” che legato ai raid aerei israeliani. Secondo fonti della Difesa israeliana citate dai media Teheran avrebbe cominciato ad evacuare le basi militari vicino al confine con Israele sin dall’inizio dell’epidemia di coronavirus che ha colpito duramente l’Iran. Il quotidiano israeliano Haaretz ha scritto che il presidente Bashar Assad ha compreso che “i militari iraniani sono diventati un peso per la Siria che paga un prezzo troppo alto per la loro presenza” sottolineando che le forze armate siriane – alle prese con un programma di riorganizzazione – sono state danneggiate dagli attacchi israeliani e hanno perso “capacità di combattimento” per i danni inflitti al sistema di difesa aerea. Altre fonti riferiscono invece che le milizie filo-Iran che operano in Siria stanno solo trasferendosi nei sobborghi di Homs e Damasco, in aree densamente popolate per scoraggiare il rischio di subire raid israeliani.

Le milizie si muoverebbero in piccoli convogli e senza armi visibili, in modo da avere più possibilità di passare inosservati fino all’arrivo a destinazione. Il Jerusalem Post riporta che gli uomini della Liwa Fatemiyoun sono stati trasferiti nella città del governatorato di Homs, mentre la Brigata 313 a Set Zaynab, vicino alla capitale. Gli spostamenti delle milizie filo-iraniane guidate dai pasdaran starebbero creando qualche difficoltà alle truppe di Damasco, ridotte di numero e alle prese con un’offensiva dello Stato Islamico, ancora attivo nell’area di Deir Ezzor e del fiume Eufrate. Per appoggiare le forze di Assad in questo settore sono giunte da Aleppo le milizie palestinesi alleate di Liwa al-Quds. Il ridimensionamento della presenza iraniana in Siria sembra in ogni caso dovuto a diversi fattori. Innanzitutto le forze di Bashar Assad hanno ormai vinto la guerra contro gli insorti e, scaramucce con l’Isis a parte, l’unico fronte caldo rimasto aperto è quello a nord-ovest, nella provincia di Idlib, al momento congelato dall’accordo per il cessate il fuoco raggiunto il 5 marzo da Russia e Turchia.

Per questo parte delle milizie Hezbollah libanesi sono state rimpatriate così come un buon numero di volontari sciiti arruolati in diversi paesi, incluso l’Afghanistan. Inoltre Teheran soffre i pesanti danni economici determinati dalle sanzioni internazionali volute da Washington e aggravate dal crollo delle quotazioni petrolifere e dall’epidemia di Covid-19, e aveva già da tempo informato Damasco di non poter più far fronte ai costi per il sostegno economico e militare al governo siriano, specie ora che il conflitto siriano ha registrato una svolta positiva per Bashar Assad. Del resto da mesi Assad gode della riapertura delle relazioni con molti paesi della Lega Araba che avevano sostenuto per anni i ribelli jihadisti. Uno sviluppo politico dovuto anche al ruolo ricoperto dalle forze di Damasco nel contrasto alla penetrazione turca nel mondo arabo, sostenuta dal Qatar e particolarmente pressante in Siria e in Libia. Oltre all’Egitto, dove il presidente Abdel Fattah al-Sisi non ha mai cessato di sostenere Assad, sono scesi in campo a sostegno di Damasco gli Emirati Arabi Uniti, avversari del Qatar ma anche dell’Iran.

Abu Dhabi ha riaperto il 27 dicembre 2019 la propria sede diplomatica nella capitale siriana, seguito dal Bahrein mentre diversi paesi del Golfo hanno ripreso i rapporti con Damasco anche nell’ambito della Lega Araba. Del resto per consolidare il suo successo militare Assad ha oggi bisogno di ingenti investimenti per la ricostruzione post-bellica della Siria, necessario anche al consolidamento del suo potere. Decine di miliardi di dollari di dollari che non potranno certo provenire dai suoi alleati finora più importanti, la Russia e l’Iran. Riducendo la dipendenza politica e militare dall’Iran, Assad si garantisce un maggior supporto arabo e probabilmente una minore ostilità da parte di Israele e Stati Uniti, garantendosi risorse finanziarie per la ricostruzione.

Proprio gli Emirati Arabi Uniti avrebbero promesso 3 miliardi di dollari chiedendo però a Damasco di riprendere l’offensiva a Idlib contro le milizie filo-turche sostenute dalle truppe di Ankara: iniziativa che risulterebbe al momento sgradita a Mosca che deve necessariamente sostenere la tregua firmata con Ankara. Il denaro emiratino sembrerebbe finanziare anche il reclutamento di miliziani fedeli al governo siriano, arruolati a quanto sembra dalla società militare privata russa Wagner per combattere in Libia con le forze del generale Khalifa Haftar che si oppongono alle milizie di Tripoli appoggiate da Ankara e da mercenari arruolati tra i ribelli siriani.

Assad ha quindi molte valide ragioni per allontanarsi militarmente dall’Iran senza per questo alterare la tradizionale intesa con Teheran alle cui aziende probabilmente spetterà una fetta del business della ricostruzione della Siria, finanziata dalle monarchie sunnite del Golfo. Al tempo stesso, Assad mantiene l’asse di ferro, politico e militare, con Mosca che guarda con favore alla riduzione delle tensioni con Israele e i paesi arabi, con i quali i russi hanno crescenti intese, e vedeva da tempo un po’ “invadente” l'infkluenza dell’Iran su Damasco.