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LA CITTA' SIMBOLO

Assad riparte da Aleppo liberata, ma la guerra continua

Le forze lealiste, sostenute dai raid aerei, stanno riprendendo il controllo di Aleppo Est, da quattro anni nelle mani dei ribelli. Ma sul resto della Siria è più difficile fare previsioni perché l'intesa tra Putin e Erdogan ha complicato il quadro in tutta l'area a nord e est di Aleppo. Il grande punto interrogativo su Raqqa, la capitale del Califfato. E la fase di interregno negli Usa non aiuta. Intanto i Francescani chiedono al mondo una preghiera per la pace. 

Esteri 30_11_2016
Lealisti entrano ad Aleppo

Sta finendo nell'unico modo in cui poteva finire: quartiere dopo quartiere le forze lealiste, sostenute dai raid aerei, stanno riprendendo il controllo di Aleppo Est, la parte della seconda città della Siria da quattro anni nelle mani dei ribelli. L'offensiva va avanti molto rapida: da venerdì a oggi l'area controllata dagli oppositori, dominati dalle formazioni jihadiste, si è praticamente dimezzata. E sono già ventimila i civili che - senza più miliziani a impedirne la fuga - per fuggire alla battaglia in corso si sono rifugiati nelle zone già controllate dalle forze governative oppure nel quartiere di Sheikh Maqhsud, controllato dai curdi. L'ultima sofferenza del tutto inutile per Aleppo: la sorte di tutta la città è ormai chiara, è solo questione di giorni e le forze fedeli ad Assad saranno arrivate dappertutto. E vista da qui appare l'ennesima follia suicida il rifiuto finora opposto dalle milizie ribelli a una resa che prima o poi sarà inevitabile.

La verità - infatti - è che già da luglio ad Aleppo avevano perso. Da quando il loro alleato più vicino, la Turchia, li aveva sacrificati sull'altare del riavvicinamento con Mosca (e del relativo via libera a condurre le proprie operazioni contro i curdi anche nel nord della Siria). Certo, a sostenere il fronte anti-Assad restavano i soldi e le armi delle monarchie del Golfo, oltre alle titubanze dell'aministrazione Obama (per la verità comunque oggi molto più interessata a puntare sui curdi che a difendere Aleppo est). Però senza la sponda della Turchia - che aveva garantito loro i rifornimenti per quattro anni - era impossibile continuare a resistere. E chissà se un giorno, quando scriveremo la storia di questa guerra drammatica, capiremo che uno dei suoi snodi fondamentali è stato il fallito golpe ad Ankara il 16 luglio.

Che arrivi nel giro di qualche ora (magari con un lasciacondotto verso Idlib per le ultime formazioni ribelli asserragliate intorno alla Cittadella) oppure che richieda ancora qualche settimana con un tributo pesante di altro sangue innocente, la guerra dunque ad Aleppo sta per finire. Ma sarà anche la fine della guerra in Siria?

La domanda resta aperta, perché le incognite e le contraddizioni sul terreno restano in realtà molte. La guerra probabilmente finirà presto anche a Ghouta, la roccaforte dei ribelli nell'area di Damasco: una volta terminata la campagna di Aleppo è molto probabile che l'offensiva delle forze lealiste si concentri lì. Ma sul resto della Siria è più difficile fare previsioni, proprio perché l'intesa tra Putin e Erdogan ha complicato il quadro in tutta l'area a nord e est di Aleppo. Resta per esempio il grande punto interrogativo su Raqqa, la capitale del Califfato.

Assad ha sempre detto di voler riprendere il controllo di ogni angolo della Siria; ma Mosca non sembra proprio di questa opinione. Anche perché - come l'Iraq insegna - non basta una conquista militare; dopo ci vuole il controllo del territorio, in un'area a maggioranza sunnita. Altrimenti si ricomincia con le autobombe, probabilmente anche ad Aleppo. Per questo motivo è molto più probabile che la Russia non si opponga a un'avanzata delle milizie filo turche verso Raqqa. Con l'obiettivo di arrivare a una qualche soluzione «federale» per la Siria, che lasci intatti i confini ma allo stesso tempo - fuori dall'asse Damasco-Aleppo-Latakia, la cosiddetta «Siria utile» secondo Mosca - garantisca ampie aree di autonomia a sunniti e curdi.

Ma è una prospettiva tutt'altro che indolore, anche perché ciascuna delle parti in causa ha le sue ambizioni territoriali. E l'aperitivo lo si sta già vedendo nella corsa alla conquista di al Bab, la maggiore città a nord di Aleppo. Milizie filo-turche e curdi siriani si stanno già combattendo tra loro in una zona dove ufficialmente ci sarebbe ancora da mandare via l'Isis. E anche l'aviazione siriana nei giorni scorsi ha compiuto un raid aereo contro gli alleati dei turchi: Mosca è dovuta intervenire a mediare, ma è evidente l'insofferenza di Damasco per l'ampio spazio di manovra concesso a Erdogan.

Ce n'è abbastanza, allora, per capire che questo sarebbe il momento della politica in Siria: per far sì che la svolta di Aleppo sia l'inizio della fine della guerra occorrerebbe far ripartire subito un vero tavolo negoziale. Certo, l'interregno a Washington non aiuta, ma non sarebbe impossibile. Ma gli esiti della battaglia e il tanto sangue innocente versato basteranno almeno stavolta a fare strada a un barlume di realismo?

Intanto vale la pena registrare l'appello lanciato dai francescani all'inizio dell'Avvento: è il tempo di intensificare la preghiera. Così il ministro generale dell'ordine Michael Perry e il Custode di Terra Santa Francesco Patton chiedono che in ogni comunità in tutto il mondo, tutte le prime domeniche del mese la Messa più frequentata dai bambini sia dedicata espressamente alla preghiera per la pace. Da una parte come dall'altra della barricata i bambini sono quelli che hanno sofferto di più ad Aleppo; ora a loro è affidata l'arma più potente per far finire davvero questo incubo in tutta la Siria.