Assad e il global warming: gli obiettivi di Kerry
Alla conferenza dei ministri degli Esteri della Nato, John Kerry mette nero su bianco il disegno statunitense di politica estera: combattere l'Isis (che Kerry chiama diplomaticamente con l'acronimo arabo Daesh) assieme agli alleati, ma in vista di una cacciata di Bashar al Assad. E poi, soprattutto: lotta al riscaldamento globale.
Bruxelles. Combettere Assad e il global warming. Paiono proprio essere queste le due priorità della politica estera americana, almeno stando all’intervento del segretario di Stato John Kerry alla ministeriale Nato.
"E’ chiaro come in questo periodo la Nato debba fronteggiare sfide da tutte le direzioni: la guerra civile in Siria, il flusso di rifugiati, la violenza del Daesh (acronimo arabo di Isis, usato ora dalle diplomazie occidentali per evitare di parlare di "Stato Islamico", ndr), oltre a un conflitto tutt’altro che finito in Ucraina. La Nato deve essere in grado di rispondere a tutte queste sfide ed è necessario che continui a parlare con una sola voce” - spiega John Kerry. Al fine di combattere la minaccia più immediata, quella dell'Isis/Daesh “dobbiamo innanzitutto attenuare progressivamente il conflitto in Siria, così che anche i rifugiati possano tornare alle loro case, nelle loro comunità. Ieri ho chiesto a tutti gli alleati della Nato di incrementare il loro impegno nella lotta contro il Daesh, di colpire il nucleo della sua organizzazione in Siria e in Iraq”. L’impegno, da parte degli europei, sta già aumentando “e sono grato a quegli alleati che hanno incrementato i loro sforzi o stanno progettando di farlo nel prossimo futuro”. In particolar modo apprezza l’iniziativa della Gran Bretagna, dove il premier David Cameron ha fatto votare in parlamento la decisione definitiva di condurre operazioni aeree in Siria. “Ma non stiamo parlando solo di truppe sul terreno, il contributo di ogni nazione può consistere anche nella messa a disposizione di basi e infrastrutture, servizi medici, intelligence, ci sono molti modi di partecipare”. “C’è ormai la consapevolezza universale che il Daesh rappresenti una minaccia mortale non solo per la Siria o per la Turchia, ma per tutto il mondo”. Il presidente Obama ha chiesto alla Turchia di chiudere la frontiera meridionale con la Siria. “C’è ormai un accordo concluso con Ankara per chiudere le ultime porzioni del confine rimaste ancora aperte e ci stiamo coordinando con le forze armate turche per portare a termine questo compito. Crediamo che sia nell’interesse della Turchia chiudere tutte le vie di transito dei foreign fighters e quelle del traffico illegale di petrolio del Daesh.
Ma gli Usa puntano realmente a un regime change in Siria? “Sia ben chiaro – dice Kerry su questo punto – che noi stiamo cercando una soluzione politica. A Vienna è stato raggiunto un accordo per mantenere intatte le strutture del governo siriano. Non vogliamo che l’esercito, la sanità, l’istruzione e le infrastrutture della Siria crollino in macerie, forti dell’esperienza negativa che abbiamo appena avuto in Iraq. C’è solo una persona che, a causa delle sue scelte compiute negli ultimi anni, a causa dei suoi bombardamenti sui civili con bombe incendiarie, a causa del suo impiego dei gas tossici sulla sua stessa gente, a causa della sua strategia di isolare e far morire di fame intere aree, della repressione violenta e delle torture sugli oppositori, non può essere considerata come una soluzione per questo paese, ma come il problema principale. Lo dimostra anche il fatto che ormai i tre quarti del suo paese hanno già votato contro di lui con i piedi, lasciando il paese, o vivendo da profughi all’interno dei suoi confini. Ormai esiste un consenso ormai quasi unanime, sia fra i governi della regione che altrove nel mondo, sul fatto che Assad non possa curare la malattia del suo paese. Non ha la legittimità necessaria per riunificare il suo paese. Assad non può essere nel futuro della Siria, la guerra non potrà finire finché lui sarà al potere”. Più che di regime change, Kerry preferisce parlare di “Assad-change”. Ma il concetto non cambia. Benché il segretario di Stato americano chieda aiuto agli alleati per distruggere l’Isis, l’obiettivo di fondo è quello di rovesciare Assad e rimpiazzarlo con qualcun altro che possa guidare la macchina del suo regime (o quello che ne resta). L’Isis non viene visto come una minaccia a se stante, per combattere la quale occorrerebbe mandar giù anche una collaborazione con il regime siriano e con i russi, ma solo come un prodotto del conflitto civile siriano. La cui causa, da rimuovere al più presto, è e resta Bashar al Assad. Questa è la priorità politica annunciata da Kerry, non altre.
O meglio: è la priorità solo nell’ambito della politica mediorientale, perché a livello globale John Kerry, ritiene che la “principale minaccia alla sicurezza” sia… il global warming, il riscaldamento globale. Benché si trovasse a Bruxelles e nella sede dello Stato Maggiore della Nato, Kerry ha speso una buona metà del suo intervento parlando dell’impegno degli Usa a Parigi, alla conferenza Cop21 sul clima, del dovere di ridurre le emissioni, dell’aumento negli Usa della produzione e consumo di energia solare, esortando la comunità scientifica a trovare sempre nuove soluzioni “sostenibili”. Ma perché? Perché, come ha affermato in altre sedi, come abbiamo già rilevato su queste colonne, Kerry considera il riscaldamento globale come l’origine di tutti i problemi di sicurezza. Anche la causa profonda del conflitto siriano è identificata nella presunta maggior siccità degli ultimi anni. Dovuta al riscaldamento globale. Ma è vero? Importa poco: l’importante è rilevare qui che Kerry ci creda, soprattutto considerando che parla a nome della prima potenza del mondo.