Aspettavamo l'Is, sono arrivati gli olandesi. Che paura
Roma, minacciata dall’Isis Sezione Libica, era di vedetta, ma l’attacco è venuto dal di dentro, alle spalle. Chi se lo aspettava? Erano stranieri, sì, ma semplici tifosi olandesi, mica kamikaze. Scontri, feriti, danni. E poi, al solito, invettive incrociate, rimpalli di responsabilità, richieste di dimissioni. Ma c'era da aspettarselo.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Anzi, no: ci sarebbe da piangere se non ci fosse da ridere. Insomma, non si sa se piangere o ridere. Quel che è successo a Roma assomiglia in qualche modo a una novella simil-boccaccesca tipo Quel gran pezzo dell’Ubalda -vanto della cinematografia italiana anni Settanta- col marito che scruta ansioso l’orizzonte dalla finestra. Se ne sta tremebondo con lo scolapasta in testa e il mattarello in mano: paventa uno sbarco di turchi che gli sfascino la casa e violentino sua moglie.
Alle sue spalle, nel suo letto, la moglie se la spassa col ganzo approfittando della concentrazione diametralmente opposta del becco. Un rantolo dal sen sfuggito fa voltare quest’ultimo, il cui sconcerto provoca un fuggi-fuggi, ma ormai l’adulterio è consumato. Cominciano gli urli, gli insulti, il vano inseguimento dell’infame per tutta la casa col solo risultato di sfasciare la suppellettile, cosa che aggiunge il danno economico a quello morale. Roma, minacciata dall’Isis Sezione Libica, era di vedetta, ma l’attacco è venuto dal di dentro, alle spalle. Chi se lo aspettava? Erano stranieri, sì, ma semplici tifosi, mica kamikaze. Si attendeva un assalto da Sud ed è venuto da Nord. Binocoli puntati sulla Libia e invece la guerriglia è arrivata dall’Olanda. Scontri, feriti, danni, paura. E poi, al solito, invettive incrociate, rimpalli di responsabilità, richieste di dimissioni.
Insomma, in Italia, un déja vu, copione consueto, anzi stantio, da cambiar canale. Pasto per la miriade di talkshow “di approfondimento” che, giustamente, perdono audience ch’è un piacere (davvero! nda) a ogni puntata. Il fatto è che mai devastazione urbana fu più inaspettata. No, non intendiamo parlare delle previsioni poliziesche, quello è un discorso che lasciamo ai rimpalli e ai talkshow di cui sopra. Ci riferiamo agli olandesi. Eh sì, perché ormai l’immaginario collettivo si era abituato a pensare l’Olanda paciosa e arcobaleno, terra di formaggini, tulipani, mulini a vento, nozze gay e integrazione a go-go, punta avanzata del politicamente corretto europeo e del progressismo anche cattolico. Solo gli storici, tuttavia, sanno che i neerlandesi discendono dai pirati frisoni che massacravano allegramente gli evangelizzatori mandati dal Papa. Quando scoppiò la rivoluzione protestante i neerlandesi si aggiogarono non al carro di Lutero, ma a quello ben più estremista di Calvino, e gli spagnoli dovettero sudare le sette camicie con quei diavoli che vivevano sotto il livello del mare.
Erano olandesi quei guerrieri efferati che attaccavano in ogni parte del mondo, dal Brasile all’Estremo Oriente, gli odiati papisti portoghesi e spagnoli: non pochi missionari cattolici ne fecero le spese, insieme ai vecchi, donne e bambini loro fedeli. Quando lo shogunato giapponese espulse tutti gli europei e proibì il cristianesimo a suon di massacri, solo agli olandesi fu consentito di restare. E quando, nel 1637, i samurai cristiani e le loro famiglie si arroccarono a Shimabara per un’estrema difesa contro l’esercito governativo, quest’ultimo venne appoggiato dal mare da una cannoniera olandese che bombardò i cristiani per quindici giorni di fila. Erano di discendenza olandese quei “boeri” che combatterono per anni contro gli inglesi in Africa e contro la cui irriducibilità furono inventati i campi di concentramento.
Dunque, gli olandesi hanno una tradizione guerriera di tutto rispetto. Fanno parte dei popoli “della birra e del burro”, mentre noi mediterranei siamo “del vino e dell’olio”. Ma noi mediterranei non abbiamo la “cultura” dello sbronzarsi di massa nei week-end e la ricerca della sbronza come antidoto al mal di vivere o alla noia. Loro sì. Le cause le ha ben selezionate lo storico e sociologo delle religioni Léo Moulin, e vanno ricercate nella teologia protestante. Voi direte che gli hooligans nordici non sembrano molto religiosi, e avete ragione. Ma cinque secoli di cultura religiosa lasciano sedimenti nelle mentalità. Insomma, una differenza fra ultras latini e ultras nordici c’è, minima ma c’è: i primi sfasciano e picchiano; i secondi fanno lo stesso, sì, ma dopo essersi a bella posta ubriacati. Tutto ciò è noto alle forze dell’ordine di qualunque nazione Ue. Ma, come sappiamo, nel caso di Roma siamo stati distratti dal jihadismo.
Recriminare non serve, vorrà dire che dovremo imparare a star sempre con una mano davanti e l’altra dietro. Intanto, come prevedibile, l’Onu non vuol saperne di crociate, con grande sollievo dei governanti italiani. Anche se i jihadisti continuano a chiamarci “crociati”. Ma ce li vedete Ban-ki-mun e Gentiloni con l’elmo e la veste bianca? Bisogna proprio avere le teste fasciate (di nero) per insistere con quella parola. Eppure, proprio l’episodio “olandesi a Roma” renderebbe attualissimo l’appello di Urbano II agli hooligans feudali dell’XI secolo: avete voglia di menare le mani? benissimo, ma fatelo almeno per una giusta causa. Dove? Negli stessi posti di allora.