Arte concettuale: è artista chi te la spiega
«Se l’arte ha bisogno di essere spiegata, significa che l’artista ha fallito» spiega Tiziana Sembianti, pittrice. E l'arte concettuale è tutta così. Che me ne faccio di un orinatoio o di una merda in scatola, se non c'è qualcuno che mi dica che è arte?
Tiziana Sembianti, pittrice (produce copie perfette di capolavori storici, indistinguibili dagli originali), intervistata da Stefano Lorenzetto su Il Giornale del 12 gennaio 2014 (rubrica «Tipi italiani»), dice tra le altre cose: «Le cattedrali di ieri erano erette da gente che ci credeva. Le chiese di oggi sono figlie del relativismo: trattatelli di filosofia che celebrano la grandezza del nulla. Non inducono a pregare, entrandoci. Né a inginocchiarsi». E anche: «Hanno portato mia nipote Barbara, 15 anni, a vedere i “tagli” di Lucio Fontana a Torino. Al ritorno le ho chiesto: che cos’hai visto? “Tele con uno sbrego”, mi ha risposto. Allora le ho detto: ricorda che se l’arte ha bisogno di essere spiegata, significa che l’artista ha fallito».
Infatti –aggiungo io - l’artista a quel punto non è chi taglia la tela, bensì chi ti spiega come e perché si tratti di un’opera d’arte. Così, celebrati «capolavori» dell’arte moderna richiedono sempre più la presenza del critico che ormai si comporta come il sofista dell’antica Grecia, il quale ti dimostrava tutto e il suo contrario a parole. Ma dopo aver appreso che il celebre Orinatoio di Duchamp è un capolavoro assoluto, poi che fai? Lo compri e te lo metti in salotto? Saresti costretto ad assumere un critico e tenercelo accanto, a far da cicerone ai tuoi ospiti. Lo stesso, se sei un collezionista, per la Merda d’artista di Manzoni, il Piss-Christ (un crocifisso dentro a un bicchiere pieno di piscio) e la Madonna incapsulata in un preservativo. E il tuo salotto diventerebbe una cloaca.
Ora, se proprio insisti, poiché queste «opere d’arte» costano uno sproposito, perché non compri un crocifisso di plastica e ci orini sopra tu? Almeno, sarebbe roba tua. Lo stesso potresti fare con la Merda e con il profilattico. Infine, se temi di incorrere nel copyright, eccoti una bella idea: compra un pitale colorato, scrivici sopra «Ars gratia artis» (che poi è anche il motto della Metro Goldwin Meyers) ed esponilo nel tuo studio per la gioia degli amici. Ah, naturalmente, dopo avere assunto un critico d’arte che spieghi loro l’«arte concettuale» di cui il tuo capolavoro è un esempio. Potresti anche, a quel punto, metterci su un bel business: «Arte fai-da-te in scatole di montaggio». Dovresti solo occuparti della confezione, della pubblicità e della distribuzione. Per il contenuto, basta una normale discarica. Più schifoso è, meglio è. Sul retro della scatola avrai cura di indicare il numero del call-center a cui rivolgersi e l’indirizzo mail a cui mandare la foto dell’opera realizzata dal cliente. Questi, con una modica spesa aggiuntiva, riceverà direttamente a casa l’opuscolo contenente la spiegazione del critico. Magari il cliente in questione, se ha fantasia, potrà diventare famoso. In tal caso il tuo giro d’affari avrà un decollo formidabile e farai un sacco di soldi. Coi quali potrai riempirti non solo il salotto ma anche l’intera casa di pisciatoi, cacche in box, preservativi usati, gatti impagliati crocifissi (la «concettualità» religioso-cristiana, meglio se cattolica, tira sempre), sputi sotto vetro e foto seriali di pontefici in pose sconce.
Le «firme» saranno, ovviamente, quelle dei tuoi clienti divenuti artisti famosi ed esposti nei meglio musei del mondo. Insomma, l’arte alla portata di tutti, l’ultimo traguardo della democrazia liberale. Passerai alla storia. Per la cronaca, Tiziana Sembianti, l’autrice di copie (che non vende né espone), passa giornate intere davanti ai capolavori di Vermeer o di Caravaggio, per cercare di capire come siano stati fatti e poi riprodurli (per alcuni ci mette anni). Dice che, sebbene l’abbia scrutata per settimane, ancora non riesce a capire come abbia fatto Leonardo a dipingere la Gioconda. Cioè, a darle quei colori velati che sembrano fatti di luce. Ma Leonardo era un povero ingenuo, così come lo erano i suoi committenti. Invece, all’artista furbo bastano una tela, un taglierino e un colpo secco. Et voilà. Al resto pensa il critico.