Armi negli Usa, una questione di libertà
Nella Costituzione la libertà di portare armi è seconda solo alla libertà religiosa: è vista come affermazione del primato della persona sullo Stato. Una concezione che ha le proprie radici nella lunga storia per affermare la libertà contro la Corona britannica.
La tragedia avvenuta sabato a Newtown, nello stato americano del Connecticut, dove un folle ha sparato in una scuola elementare provcando 27 vittime, tra cui 20 bambini, ha riaperto negli Stati Uniti il dibattito sulle armi che, come noto, godono di libera circolazione. Non è la prima volta che il dibattito su questo argomento si accende all'indomani di tragedie simili a quella di Newtown, ma finora nessuno è mai riuscito a introdurre nuovi regolamenti. Cerchiamo però in questo articolo di capire perché negli Stati Uniti la libertà di possedere un'arma abbia radici così profonde.
A noi sembra che il possesso personale di armi sia incompatibile con una democrazia moderna, ma per gli americani è invece proprio questo il sigillo di una democrazia compiuta, la loro.
Quello dei cittadini statunitensi di possedere armi è infatti un diritto costituzionale, sancito a chiare lettere nel Secondo Emendamento alla Costituzione federale, laddove nel primo si stabilisce la libertà basilare di ogni americano, la libertà religiosa. Del resto, dire in questo caso “emendamento” è filologicamente corretto, ma può risultare culturalmente fuorviante. I primi dieci emendamenti alla Costituzione federale, varati in blocco nel 1791, vale a dire due anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione stessa, furono infatti varati come Bill of Rights: ovvero un documento unitario nello scopo e nello spirito che porta il medesimo, antico nome dell’enumerazione delle libertà personali di cui godono i cittadini inglesi (e poi britannici) e le cui radici affondano nella resistenza antitirannica contro il potere statale di cui è intrisa la Magna Charta Libertatum del 1215. Nel decalogo del Bill of Rights statunitense, il diritto al possesso di armi è preceduto gerarchicamente solo dal tributo che spetta a Dio e contro di essi lo Stato non può nulla. Se lo facesse, si trasformerebbe in usurpazione tirannica.
Il Bill of Rights è così molto più che un insieme di emendamenti costituzionali: è una dichiarazione di sovranità della persona rispetto allo Stato e fu varato dopo che il lungo dibattito attorno all’opportunità di ratificare o meno il testo costituzionale federale proposto alle ex colonie britanniche dell’America Settentrionale non aveva per nulla fugato tutti i dubbi sui rischi del centralismo e dello statalismo. Il concetto di governo limitato, caro alla scienza politica e ai cittadini americani, è insomma già tutto contenuto in questo dialogo virtuoso fra i poteri che i cittadini concedono allo Stato centrale mediante la Costituzione federale e le prerogative riservate per natura ai cittadini dei singoli Stati dell’Unione elencate dal Bill of Rights, con questo secondo che sin dal momento della sua approvazione è dunque concepito come parte integrante e inalienabile della prima. Per molti aspetti, il Bill of Rights è quindi il luogo giuridico dove la Dichiarazione d’indipendenza del 1776 si fa Costituzione. Gli Stati Uniti non sarebbero del resto mai nati se i suoi abitanti non avessero sentito la necessità di affermare il primato della persona e la sua libertà inviolabile di fronte al dispotismo statalistico.
Quanto alle origini storiche del Secondo Emendamento, esse risalgono al tempo in cui il territorio statunitense era colonia dell’impero britannico e il possesso di armi l’unico modo che i coloni avevano per garantire la difesa di sé, delle proprie famiglie e dei propri territori. Le particolari condizioni dell’America Settentrionale rendevano del resto necessario il possesso personale di armi fin dai tempi remoti dei primi insediamenti europei, allorché, oltre ai sudditi della Corona inglese, a quelle latitudini circolavano pure spagnoli, francesi e olandesi. Le lotte per il predominio commerciale tra le varie compagnie di origine europea (e i prolungamenti nordamericani delle guerre fra gli Stati europei) rendevano spesso insicuri gli scambi e le proprietà, ma era soprattutto la vastità dei nuovi territori ancora in gran parte inesplorati, abitati da faune sconosciute e spesso feroci nonché da popolazioni solo in alcuni casi pacifiche a giustificare il possesso privato di armi.
La lunga storia della colonizzazione europea dell’America Settentrionale resterebbe però ancora incomprensibile se si prescindesse dal considerare che in molti casi fu un’impresa del tutto privata (ancorché incoraggiata dagli Stati europei), in specie quella proveniente dalle isole britanniche, e che lentamente essa assunse la forma di un autogoverno di fatto ma non per questo meno reale. Fu quando poi l’autogoverno a lungo positivamente permesso dalla madrepatria britannica, e non solo da essa semplicemente tollerato, venne messo prima in dubbio e successivamente paralizzato dalla svolta statalistica di Londra che le colonie decisero di reagire (alla bisogna anche militarmente) e in extrema ratio di separarsi istituzionalmente dalla corona allo scopo di potere liberamente proseguire il cammino giuridico-istituzionale di sempre.
I nordamericani, cioè, sono figli di una tradizione di libertà politiche a lungo garantite dalla struttura imperiale britannica di cui non hanno fatto a meno nemmeno quando è stata la stessa Gran Bretagna a minacciarla, giacché il farlo avrebbe significato rinunciare a quel diritto naturale che è la fonte dei diritti umani inalienabili: libertà religiosa, proprietà nonché della difesa di sé, della propria famiglia e dei propri beni dal dispotismo. Quegli stessi che per proprio per questa ragione gli americani hanno voluto sancire a chiare lettere nella legge fondamentale del loro Paese onde tutelarli da tutti i nemici, esterni e interni, privati e pubblici.
Ribellandosi al nuovo corso britannico onde poter continuare il vecchio, gli americani hanno insomma ritenuto di obbedire a Dio e non a Cesare. Ma Cesare, pensano gli americani ancora oggi, non è mai sconfitto una volta per tutte e così i liberi cittadini-soldato, che come Cincinnato prestano il braccio alla patria ma poi tornano ad attendere i campi, sono sempre di guardia: «il prezzo della libertà è la continua vigilanza», recita un detto, attributo a molti padri, che gli americani conoscono e ripetono come una preghiera quotidiana. L’idea, dunque, che solo a Cesare sia concesso l’uso delle armi è per i Cincinnati americani talmente inconcepibile da essere esplicitamente esclusa dalla legge fondamentale del Paese.
Gli americani pensano che l’unica ragione per cui abbia senso cedere una piccola parte della propria sovranità di uomini liberi allo Stato sia per garantire meglio alle persone l’esercizio della propria libertà. Lo Stato, cioè, serve la persona, non il contrario. Ma siccome pensano che ogni creazione umana sia passibile di deragliamento, che il potere intossichi e che più il potere è assoluto più esso intossica, gli americani cercano di dotarsi degli strumenti che ritengono più adatti per non finire schiavi.
Il fatto che i governi totalitari inizino tutti vietando il possesso personale di armi, imponendo ai cittadini la leva militare obbligatoria, occupando l’educazione e statalizzando l’economia li convince ogni giorno di più della bontà del Secondo Emendamento alla loro Costituzione. Perché mai, dicono infatti gli americani, solo allo Stato che si pone al di sopra della legge e ai criminali che si pongono fuori dalla legge deve essere concesso l’uso delle armi?