Apre il santuario di Monte Nebo, sulle orme di Mosé
Dove Mosè gettò il suo ultimo sguardo sulla Terra Promessa, prima di terminare il suo pellegrinaggio terreno: il Monte Nebo, in Giordania. Finora ospitava un memoriale, con i resti archeologici dell'antica basilica bizantina. Ora è tornato ad essere luogo di culto, un santuario per ospitare i pellegrini in Terra Santa.
Quando parliamo dei Luoghi Santi il nostro pensiero tende ad andare immediatamente alle mura antiche di Gerusalemme. Non può quindi non destare un po' di sorpresa la notizia che in Terra Santa oggi si inauguri una nuova chiesa. E che tutto ciò - per di più - accada in Giordania, su un'altura poco lontana da Madaba. Eppure, secondo una tradizione antichissima, proprio quello è il Monte Nebo, la collina dalla quale Mosé vide la Terra Promessa prima della sua morte, come raccontato nel capitolo 34 del libro del Deuteronomio.
Che dal Nebo la vista sia incredibilmente bella lo può testimoniare chiunque vi abbia fatto tappa: nei giorni più limpidi da quest'altura giordana lo sguardo si posa non solo sulla valle del Giordano fino al Mar Morto, ma da Gerico - risalendo il profilo delle colline - si scorge persino Gerusalemme. Non è un caso che già nel IV secolo la pellegrina Egeria abbia sostato proprio qui, incontrandovi dei monaci che nel deserto tenevano viva la memoria di Mosé. Scomparsi loro, però, per secoli l'unica memoria di questo luogo era rimasta il nome di Jabal Nebo, con cui i beduini chiamavano la collina. Ed è stato solo quando nel 1932 i francescani - intuendo che non poteva essere una mera coincidenza - acquistarono i terreni e cominciarono a scavare che i resti dell'antica basilica e del complesso monastico bizantino sono cominciati a tornare alla luce. E sono state poi le campagne archeologiche condotte da padre Virgilio Corbo e padre Michele Piccirillo a riportare alla luce l'antico Memoriale di Mosé. Facendo capire a tutti che quella doveva tornare a essere una tappa importante per i pellegrinaggi cristiani in Terra Santa.
Per anni - però - l'unica sistemazione di questo luogo era rimasta una semplice tettoia destinata a proteggere i bellissimi mosaici del pavimento della basilica, riaffiorati con gli scavi. Per di più la morte di padre Piccirillo, avvenuta nel 2008, aveva contribuito a rinviare ulteriormente la realizzazione del suo sogno: la costruzione di un santuario in grado di accogliere anche qui i pellegrini. Alla fine però quel sogno è comunque diventato realtà e oggi vedrà la sua inaugurazione; con il nuovo Memoriale di Mosé, una grande chiesa a forma di tenda che al suo interno racchiude i resti dell'antico monastero.
Ad aprire solennemente le porte sarà il nuovo Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton; ma a testimoniare l'importanza del momento per la comunità locale e per la Chiesa intera oggi sul Monte Nebo arriverà anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, inviato appositamente dal Papa con un suo messaggio. Molto probabile anche la presenza del re di Giordania Abdallah II, che ha sostenuto fin dall'inizio questo progetto. Da domani, infine, il sito sarà aperto a tutti i pellegrini, con la presenza di una comunità francescana incaricata dell'accoglienza, come in tutti gli altri Luoghi Santi.
Un luogo dalla lunga storia finalmente ritrovato, dunque. Ma il cui senso si rivela appieno pensando anche a due momenti recenti vissuti dalla Chiesa universale sul Monte Nebo. Il primo fu la sosta di Giovanni Paolo II nel 2000: il suo sguardo sulla Terra Santa con padre Piccirillo a fianco a illustrargli dal vivo la «geografia della salvezza» è una delle istantanee più belle di Wojtyla rimaste nella memoria di tutti. Icona non solo di quel viaggio, ma di un intero Pontificato scandito da uno sguardo ampio sul mondo, sulla fede e sulla storia. Anche Benedetto XVI, però, nel 2009 fece tappa al Memoriale di Mosé all'inizio del suo pellegrinaggio in Terra Santa. E in questo luogo pronunciò parole altrettanto belle sul senso della vita cristiana: «Mosè contemplò la Terra Promessa da lontano, al termine del suo pellegrinaggio terreno - disse quel giorno Ratzinger -. Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del popolo di Dio lungo la storia. Sulle orme dei profeti, degli apostoli e dei santi, siamo chiamati a camminare con Dio, a portare avanti la sua missione, a rendere testimonianza al Vangelo dell’amore e della misericordia universali di Dio. Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nel corso della nostra vita - aggiunse ancora - Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno».
Va aggiunto, infine, che quel giorno Benedetto XVI compì pure un passo molto ardito per il Medio Oriente di oggi: proprio dal Monte Nebo, in un Paese a maggioranza musulmana, parlò del «vincolo inseparabile che unisce la Chiesa al popolo ebraico». Ricordando una verità profonda: porta inscritta nel suo dna anche questa vocazione specifica il Memoriale di Mosé. Icona di una pace in Terra Santa che ha bisogno di tornare alle radici, se vuole davvero ricominciare a guardare lontano.