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GIUBILEO

Anno Santo, ecco perché è "straordinario"

Anno Santo del 2015-2016: è il 50mo anniversario del Concilio Vaticano II. Non è la prima volta che un pontefice fissa un Giubileo straordinario in una data non "tonda". Sarà dedicato alla misericordia: di fronte al dramma di una società lontana dalle chiese, il primo annuncio non può che invocare la misericordia.

Ecclesia 18_03_2015
Divina Misericordia

L'Anno Santo annunciato da Papa Francesco non è il primo che non cade nelle scadenze di cento, cinquanta o venticinque anni calcolati sull'inizio del secolo che corrispondono ai Giubilei ordinari, a partire dal primo indetto da Papa Bonifacio VIII per l'anno 1300. Per esempio, Pio XI fissò un Giubileo straordinario nel 1933, per il diciannovesimo centenario della Redenzione. E, sempre con riferimento alla Redenzione, san Giovanni Paolo II ne celebrò il 1950º anniversario nel 1983 con un ulteriore Giubileo straordinario. Non solo «cifre tonde», dunque, né novità senza precedenti.

L'Anno Santo del 2015-2016, come il Papa ha annunciato, celebrerà i cinquant'anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II e sarà dedicato alla misericordia. Senza dubbio Francesco preciserà meglio nei prossimi mesi i fini e le dimensioni dell'Anno Santo straordinario. Non è però certamente vietato ai commentatori proporre fin da ora qualche considerazione.

Partendo dai due scopi dell'Anno Santo già indicati dal Papa, la prima considerazione fa riferimento al Concilio. Si dice spesso che quello del Concilio e della sua interpretazione non è il primo tema che sta a cuore a Francesco, mentre era centrale nel Magistero di Benedetto XVI. Francesco ha indicato in modo chiaro quale interpretazione del Concilio considera corretta e normativa in una lettera a monsignor Agostino Marchetto, di cui ha autorizzato la pubblicazione, in cui definisce il vescovo italiano «il migliore ermeneuta» del Vaticano II. Monsignor Marchetto è noto per avere posto le premesse della formula di Benedetto XVI «ermeneutica della riforma nella continuità», attraverso la critica sistematica della cosiddetta scuola di Bologna, cioè dell'interpretazione del Concilio in termini di discontinuità e di rottura rispetto al Magistero preconciliare. Nello stesso tempo, monsignor Marchetto - che ha pubblicato in questi giorni un'opera importante in tema di libertà religiosa - ha criticato le interpretazioni che vogliono una continuità senza riforma, cioè che rifiutano le novità del Concilio, di cui accettano solo quanto ripete e ripropone il Magistero precedente. Benedetto XVI, spesso male interpretato, chiedeva di accettare lealmente la riforma, interpretandola però nel senso della continuità dell'unico soggetto Chiesa. Né riforma senza continuità, secondo la scuola di Bologna, né continuità senza riforma, come vorrebbero quelli che Benedetto XVI chiamava «anticonciliaristi». 

Nell'enciclica Caritas in veritate lo stesso Benedetto XVI ha spiegato che l'ermeneutica della riforma nella continuità non va utilizzata solo per i documenti del Vaticano II ma per tutto il Magistero della Chiesa. Mi permetto di ipotizzare che il ritorno al tema del Vaticano II con l'Anno Santo voglia pure suggerire, da parte di Papa Francesco, che la formula della riforma nella continuità - elogiata nella lettera a monsignor Marchetto - va applicata anche alle sue stesse riforme e novità, che vanno lealmente accettate e nello stesso tempo interpretate in continuità con il Magistero a lui precedente. Anche qui, né riforma senza continuità - e interpretazione delle «novità» di Papa Francesco nei termini di discontinuità e rottura che prevalgono su molta stampa - né continuità senza riforma, come vorrebbe chi critica il Papa attuale invocando più o meno strumentalmente gli insegnamenti del suo predecessore. Il Concilio e la sua ermeneutica, riproposte con l'Anno Santo, assumono valore paradigmatico come chiave di lettura anche del Magistero di Papa Francesco.

Papa Francesco

Secondo tema dell'Anno Santo, e tema che sarà probabilmente quello su cui più insisterà il Pontefice: la misericordia. Mi sembra riduttivo e anche un po' superficiale sostenere che l'Anno Santo della Misericordia - che peraltro inizierà dopo il Sinodo - è stato indotto per favorire la fazione che in sede sinodale propone di estendere la misericordia a certe categorie di divorziati risposati concedendo loro di accedere alla comunione. Se avesse voluto esprimere preferenze su questo tema, il Papa avrebbe avuto molti modi di intervenire, senza bisogno di mettere in moto la complessa macchina dell'Anno Santo.

Credo che Francesco parta da una considerazione diversa. Constata, quasi sociologicamente, che la grande maggioranza degli occidentali non frequenta le chiese. Questa lontananza dalla Chiesa non riguarda solo una classe sociale. È tutta una società, tutto un mondo che è naufragato, già in quei preamboli antropologici della fede richiamati spesso dal Papa e costituiti dalla buona educazione: «permesso, grazie, scusa».

Di fronte a questo dramma, il primo annuncio ai lontani non può che usare il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole. Il Papa invita a partire dalle piccole cose, dalla prima evidenza secondo cui è meglio essere buoni che cattivi, richiama spesso santa Teresina di Lisieux, e ha in comune con i suoi due predecessori il riferimento a santa Faustina Kowalska, la santa polacca della Divina Misericordia. Il primo annuncio è quello della misericordia, che ci rende capaci di essere buoni. Certo, poi vengono tante altre cose – se l’annuncio attecchisce poi deve partire la catechesi, e Francesco lo ribadisce spesso. Ma il primo annuncio è quello, semplicissimo e nello stesso tempo oggi difficile, della misericordia. 

Questi fiumi di misericordia per Papa Francesco non sono mai privi di direzione. Sfociano in quel sacramento dimenticato e di cui il Papa parla continuamente: la confessione. Vi è qui in realtà una continuità con i predecessori. Se uno si confessa dichiara a se stesso e al mondo che non è relativista, che il bene e il male non sono uguali, che il bene si fa e del male si chiede perdono in confessionale. Il richiamo del Pontefice alla confessione è spesso commovente: «E io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perché mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati, come ha fatto Zaccheo, sali sull’albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso». 

Francesco sa che solo una piccola percentuale dei cattolici oggi nel mondo si confessa. Considera questo problema uno dei più drammatici nella Chiesa. L'Anno Santo, lo ha già detto il Papa al momento dell'annuncio sarà il grande anno del rilancio della confessione. Se il problema è drammatico, giustifica misure straordinarie: come un Anno Santo straordinario, appunto.

È questo che a mio avviso molti critici di Papa Francesco talora non capiscono. Teologicamente e spiritualmente la misericordia è il cuore del messaggio cristiano. Sociologicamente, è l'unico punto di partenza possibile per dialogare con chi è lontano dalla Chiesa e magari la guarda con pregiudizio. La misericordia non nega la dottrina, ma apre la porta perché sia comprensibile e compresa. La giusta insistenza sul «secondo tempo», sulla catechesi dottrinale e sulla verità, non può diventare scusa per evitare il «primo tempo», il chinarsi sulle ferite delle persone che incontriamo con il buon annuncio della misericordia. È questo l'Anno Santo straordinario.