Ancora morti in mare: Tre richieste all'Europa
Con gli immigrati morti nel Mediterraneo la legge Bossi-Fini non c'entra niente. Continuare ad evocarla è solo demagogia. Ci sono invece alcune azioni importanti da avviare subito in ambito europeo.
Ancora una tragedia ieri sera nel Canale di Sicilia dove alle 17,15 si è rovesciato un barcone con 250 persone a bordo: circa 50 i morti. L'incidente è avvenuto a 60 miglia a sud di Lampedusa, in acque territoriali maltesi. In soccorso, oltre alle unità maltesi sono arrivati anche mezzi della marina italiana, poi ufficialmente rigranziata dal governo di Malta.
Dopo la nuova terribile tragedia al largo di Malta si avrà il “coraggio” di continuare ad agitare lo spettro della Bossi-Fini, per sostenere, con o senza raccolte di firme, che se la legge fosse abolita scomparirebbero i morti in mare? Il presidente della Commissione europea e la commissaria Ue per l’Immigrazione torneranno a breve a Lampedusa per ripetere parole generiche senza far seguire nulla di concreto? È difficile usare ragionevolezza mentre centinaia di persone perdono la vita, affogate a due passi da casa nostra. Ma elencare nel modo più oggettivo possibile i punti fermi della questione, e al tempo stesso contrastare i luoghi comuni, intollerabili proprio perché strumentalizzano le stragi, è il presupposto per capire in quale direzione è necessario lavorare.
1. L’immigrazione non è un album di fotografie, ma un film che cambia in continuazione: le scene che scorrono oggi non sono quelle di persone che tentano di arrivare in Italia per ragioni economiche. Sono quelle di persone che fuggono da persecuzioni dirette o da guerre interminabili: quindi per la gran parte sono potenziali richiedenti asilo o protezione umanitaria. Prima di muoversi, dalla Somalia, dalla Siria, dalla Libia, dall’Egitto, non si informano sui commi o sugli articoli della legge italiana. Primum vivere: scappano dalle bombe e dai proiettili e sanno che, se riescono ad arrivare in Italia, saranno finalmente al riparo dalle une e agli altri.
2. Se questo è il tratto dominante, che cosa c’entrano la Bossi-Fini e il reato di ingresso clandestino? La prima riguarda la regolamentazione degli arrivi per ragioni economiche; nei pochi articoli in cui disciplina l’asilo, ha prodotto la moltiplicazione delle Commissioni che esaminano la relativa domanda: vi era una sola Commissione prima del 2002, e dall’entrata in vigore della legge sono diventate 15, alcune con due sezioni al loro interno. Il che ha come effetti tempi meno lunghi e la moltiplicazione dell’esame delle richieste. Lo stesso articolo 10-bis che prevede il reato di ingresso clandestino stabilisce al comma 6 che la domanda di asilo o di protezione, che può essere proposta anche un attimo dopo essere arrivati sul suolo italiano, sospende ogni procedimento penale, con estinzione dello stesso al riconoscimento della protezione. La Bossi-Fini scoraggerebbe i soccorsi? L’articolo 12 dice espressamente – come è ovvio – che non c’è alcun reato nell’attività di soccorso e di assistenza umanitaria. Chi sostiene il contrario è pregato, tra una firma e l’altra, di segnalare un solo caso – che sia realmente accaduto – di imbarcazione sequestrata o confiscata perché ha aiutato persone finite in mare o in difficoltà nella navigazione.
3. Perché, con un fronte così ampio di Stati europei che affacciano nel Mediterraneo, la gran parte dei migranti punta all’Italia? Non è solo questione di collocazione geografica: la Siria è più vicina a Cipro e dall’Egitto si fa prima ad andare in Grecia… E’ che l’Italia si è sempre mostrata più accogliente e più pronta a soccorrere chi rischia la vita. Sarebbe il caso che almeno noi italiani ne fossimo consapevoli: non per inorgoglirci, ma non fustigarci senza ragione. Spesso ci si fa carico delle difficoltà altrui: gli interventi in mare delle ultime ore sono avvenuti nelle acque territoriali maltesi, su richiesta del governo de La Valletta. L’aiuto è stato prestato perché non si può lasciare la gestione di tragedie simili a un piccolo Stato, che ha difficoltà di ogni tipo. E non è vero, come si continua a dire, che l’Italia non ha oggi in Europa il maggior carico di rifugiati, essendoci numeri molto più elevati in Germania, in Francia o nel Regno Unito. Sostenere questo significa scambiare le cifre che riguardano coloro a cui nel corso degli anni è stato riconosciuto lo status di rifugiati – la Germania ne ha più di tutti, perché ha accolto tantissimi cittadini turchi, ma in un arco temporale assai lungo – con l’emergenza di oggi: oggi la grandissima parte degli arrivi via mare interessa l’Italia. Il dato di riferimento non è la sommatoria statica di più annualità, ma il drammatico afflusso attuale.
4. Le raccolte di firme possono acquietare la coscienza, ma non fermano i rovesciamenti dei barconi e le morti che aumentano. Se il problema non è né la legislazione nazionale, né la prontezza nel prestare soccorso, come evitare, o ridurre, le tragedie? Non è sufficiente il richiamo generico alle responsabilità dell’Europa: con le istituzioni europee e con chi le rappresenta non servono richieste di coinvolgimento poco precise. Altrimenti la risposta continua a essere evanescente. All’ultima sollecitazione che il governo italiano ha rivolto a quello europeo, la signora Malmstrom ha risposto ricordando le somme corrisposte all’Italia per l’accoglienza dal 2010 a oggi. Ma il problema n. 1 non è l’accoglienza: è quello che non ci siano più morti affogati!
5. All’Europa vanno chieste con forza tre cose, provando ad associare nelle richieste i governi degli altri Stati Ue bagnati dal Mediterraneo, dalla Spagna a Cipro, con quanto è nel mezzo. Anzitutto di collocare in modo coordinato nel Canale di Sicilia tutte le navi militari disponibili, col compito di svolgere il soccorso nel modo più efficace, senza attendere che i barconi arrivino in prossimità e Malta o di Lampedusa, e lì si rovescino col loro carico di vite umane. Oggi le navi che svolgono quest’opera sono solo italiane. Qualcuno vuole convincerci che la Francia o la Spagna non hanno più navi? O che il Regno Unito fa muovere le sue pregiate imbarcazioni solo al largo di Dover? Seconda richiesta: mettendo da parte i numeri statici e superando – anche con un deroga temporanea – la Convenzione di Dublino, la gestione dell’emergenza va condivisa, favorendo la dislocazione di coloro a cui è riconosciuta la protezione per i principali Stati Ue.
6. Terza richiesta, la più difficile ma anche quella che più dare i maggiori risultati: con Libia, Tunisia ed Egitto l’Ue ha in corso programmi di aiuti e di collaborazione. Il tutto è complicato dai gravi conflitti cui anche la miopia occidentale ha condotto questi Paesi. Aiuti e collaborazione, nei limiti in cui si può, vanno subordinati alla apertura sul territorio di queste Nazioni, in prossimità delle coste, con fondi e personale europei, di centri di accoglienza per chi fugge; e in ciascun centro, come accade in Italia, va collocata una commissione con targa europea che esamini le domande di asilo o di protezione umanitaria. Il vantaggio sarebbe enorme, perché chi si vedesse riconosciuta la protezione potrebbe raggiungere l’Europa in condizioni di sicurezza, non rischierebbe di morire in mare, non dovrebbe versare nulla a scafisti omicidi; in più, la distribuzione dei profughi sul suolo europeo avverrebbe in modo proporzionato alla popolazione di ciascuno Stato europeo. È un miraggio? È irrealizzabile se nessuno lo propone e se la proposta non viene difesa con decisione. Già adesso, però, in Libia ci sono nostri militari che addestrano loro colleghi locali; già adesso poliziotti libici vengono in Italia per affinare il mestiere. Siamo proprio certi che, nella condizione di caos in cui versano gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo, si opporrebbero a una presenza come quella proposta, che – certo – andrebbe organizzata in condizioni di sicurezza?
Quel termine che il Santo Padre ha adoperato qualche giorno fa – “vergogna” – sarebbe tuttavia ancor più giustificato se si continuasse a giocare con la demagogia e con voci che non c’entrano nulla, e se si omettesse di percorrere strade tanto ardue e complicate quanto obbligate e necessarie.