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COVID-19

Anche l'Africa torna alla normalità

Fine delle varie restrizioni, riaperte scuole e frontiere, via all'obbligo della mascherina: i governi africani hanno abbandonato le misure anti Covid-19. Nonostante le funeste previsioni dell'Oms, in verità l'Africa è stato il continente più risparmiato dalla pandemia, pur essendo quello con di gran lunga meno vaccinati.

Esteri 14_03_2022

Uno dopo l’altro i governi africani hanno abbandonato le misure adottate per contenere l’epidemia di Covid-19. L’Uganda, il paese che aveva imposto le regole più restrittive, già a gennaio ha riaperto scuole e frontiere, tolto il coprifuoco e ripreso tutte le attività. Uno degli ultimi a tornare alla normalità è il Gabon dove ormai si registrano meno di dieci casi al giorno. In particolare, dal 10 marzo è stato sospeso il divieto per i non vaccinati di spostarsi durante le ore notturne e sono state eliminate tutte le altre restrizioni. Il giorno successivo è stata la volta del Kenya.

Accertato che i casi sono costantemente in netto calo, il ministro della sanità Mutahi Kagwe ha annunciato che le mascherine non sono più obbligatorie, sebbene consigliate sui mezzi pubblici e per partecipare ad eventi al chiuso, e che i positivi non devono più osservare quarantena e isolamento.

La pandemia non è finita, ammonisce l’Oms, e ancora preoccupa, ma in Africa ormai sembra stabilmente in regresso. In tutto il continente si sono registrati 4.620 nuovi casi e 98 morti l’11marzo, in 12 paesi, e 2.341 casi e 14 morti il 12 marzo, in sette paesi. Anche in Sudafrica, lo stato più colpito dalla pandemia, i morti sono pochi: 28 l’11 marzo, 3 il 12 marzo. L’Africa d’altra parte, nonostante le previsioni apocalittiche dell’Oms che parlava di 1,2 miliardi di contagi e almeno tre milioni di morti, è stato il continente più risparmiato dal Covid-19 pur essendo quello con di gran lunga meno vaccinati: su poco meno di 1,4 miliardi di abitanti, finora sono stati registrati 11,6 milioni di casi e 251.670 morti (con poco meno di un terzo di abitanti, in Sudamerica, ad esempio, i casi sono 55,1 milioni e i morti 1.266.986 e tuttora ogni giorno i nuovi casi sono decine di migliaia e i morti quasi mille).

Ma la normalità in Africa, quella alla quale il continente sta facendo ritorno, in realtà è un susseguirsi continuo di emergenze sanitarie, di tale entità da fare apparire in molti casi il Covid un accidente spiacevole, ma tutto sommato secondario, se non fosse che la pandemia, accentrando risorse umane e finanziarie, ha peggiorato la situazione. 

In una provincia del Kenya è appena scoppiata una epidemia di febbre gialla. Il 7 marzo del personale specializzato è stato mandato a organizzare una campagna di vaccinazione nella provincia colpita e in tutte quelle confinanti nella speranza di riuscire a impedire la diffusione della malattia. Ma la regione è abitata da pastori sempre in movimento alla ricerca di pascoli per il bestiame e gli ospedali locali dispongono di poco personale e sono male attrezzati. Nel vicino Tanzania il ministero della sanità l’11 marzo ha diramato l’ordine a tutti i dirigenti sanitari provinciali di incominciare a vaccinare chi si reca in Kenya. Inoltre alla polizia di frontiera è stato raccomandato di controllare con attenzione i certificati di vaccinazione di chi entra nel paese per individuare quelli falsi.

A febbraio in Malawi, nella capitale Lilongwe, è stato individuato il primo caso di poliomielite in cinque anni. Il virus responsabile del contagio è dello stesso ceppo di quelli in circolazione in Pakistan, dove la malattia continua a essere endemica. L’Africa è stata dichiarata libera dalla poliomielite nell’agosto del 2020. Ma da allora ne sono stati denunciati casi in 19 paesi. Uno è l’Uganda dove la polio era stata debellata nel 2006. Ma lo scorso agosto è ricomparsa, importata dal Sudan.

Ebola, un filo virus che provoca una delle malattie più letali, è ricomparso in Guinea Conakry nel febbraio del 2021, seguito da una epidemia di Marburg, un altro filo virus leggermente meno letale, ad agosto. A febbraio una epidemia di Ebola è scoppiata nell’est della Repubblica democratica del Congo, la terza nel paese in meno di un anno, la dodicesima da quando la malattia è stata scoperta. In quattro anni in Congo si sono registrate inoltre epidemie di morbillo, peste bubbonica, colera e meningite. La più recente di meningite ha ucciso 129 persone, quasi la metà di quelle che l’hanno contratta.

L’impegno di risorse – personale, denaro, strutture – destinate a curare le malattie infettive, contenere le epidemie e cercare di prevenirle, è enorme e va a scapito della prevenzione e cura di altre malattie, in Africa sempre più diffuse: cancro, diabete, malattie cardiovascolari... Tra le conseguenze drammatiche c’è il persistere di elevati tassi di mortalità materna. In Nigeria, dove i morti di Covid-19 registrati dall’inizio della pandemia sono 3.142, in media ogni anno almeno 40.000 donne muoiono di complicazioni legate alla gravidanza e al parto e sono centinaia di migliaia i bambini che muoiono prima di compiere cinque anni a causa della perdita della madre. Il tasso di mortalità materna, che è calcolato su 100mila nascite, in Nigeria è di 917 e non è il più elevato. In Sierra Leone è di 1.120, in Sudan del Sud è di 1.150 (per capire appieno la gravità della situazione, si consideri che nei paesi sviluppati il tasso di mortalità materna è di 14 su 100mila).

La prima causa di una situazione sanitaria così disastrosa è l’estrema carenza di personale medico e paramedico e la scarsità di strutture sanitarie, soprattutto nelle aree rurali dove in molte regioni sarebbero del tutto assenti se non fosse per la presenza di ospedali, ambulatori e centri sanitari costruiti, finanziati e gestiti da istituti missionari, parrocchie e organizzazioni non governative straniere. La media per l’Africa sub sahariana è di 20 medici e circa 100 infermieri ogni 100mila abitanti.